Ma nonostante i venti di guerra il petrolio continua a scendere

da Milano

Le possibilità di un raffreddamento dell’inflazione sono in gran parte legate alla discesa dei prezzi petroliferi. Quando, nel luglio scorso, il record del greggio a 147,27 dollari aveva spinto alcuni analisti a prevedere un barile a 200 dollari entro fine anno, per il carovita si erano aperti scenari catastrofici. La discesa delle quotazioni nell’ultimo periodo ha però stemperato quei timori e, al tempo stesso, confermato tutto il peso avuto dalla speculazione nell’escalation dei prezzi.
Sotto questo profilo, quella di ieri è stata una giornata emblematica: nonostante il conflitto in corso in Ossezia del Sud tra Georgia e Russia, che potrebbe danneggiare gli oleodotti che collegano la regione del Caspio, e malgrado il terremoto che ha colpito le zone petrolifere del Venezuela, a New York il Wti è scivolato sotto quota 113 (a 112,83), mentre a Londra il Brent ha oscillato attorno ai 112 dollari. Il calo dei corsi viene messo in relazione dagli esperti con le preoccupazioni legate a una riduzione globale della domanda.
La ritirata del petrolio è infatti accompagnata dal contestuale indebolimento dell’euro, sceso sotto 1,5 dollari (non accadeva da febbraio) in seguito al peggioramento delle prospettive di Eurolandia. Il pessimismo ha trovato conferme nell’andamento calante (meno 0,4% in giugno) della produzione industriale della Francia. Dati che seguono quelli negativi sul Pil italiano, diminuito dello 0,3% nel secondo trimestre. Oggi toccherà ancora a Parigi scoprire le carte sull’andamento della ricchezza nazionale tra aprile e giugno. Ma sarà soprattutto giovedì la giornata cruciale, quando verranno pubblicati gli attesi dati sul Pil della Germania, in prevista marcata contrazione (meno 1%). Successivamente verranno pubblicati i dati sulla crescita di tutta Eurolandia. E secondo gli analisti, la crescita negativa potrebbe proseguire anche per l’intero terzo trimestre. Se così fosse, l’euro zona si troverebbe in una situazione di recessione tecnica.
Il presidente della Bce, Jean-Claude Trichet, non aveva del resto nascosto la scorsa settimana che il secondo e il terzo trimestre sarebbero stati «particolarmente deboli». Una sottolineatura insolita da parte del responsabile dell’Eurotower. Al punto che i mercati avevano interpretato le sue parole come un calo delle possibilità di ulteriori rialzi dei tassi nei prossimi mesi.
Klaus Liebscher, membro del consiglio di governo della Bce prossimo al ritiro, ha però detto ieri all’agenzia Mnsi che non è possibile tenere una posizione accomodante sui tassi di interesse della zona euro, considerando che i rischi di inflazione sono in rialzo e che non è appropriato parlare di stagnazione economica.
Gli analisti rimangono tuttavia convinti che Francoforte manterrà la politica monetaria in stand by fino alla fine dell’anno, soprattutto se continuerà la discesa dei prezzi petroliferi.

Calo che non dovrebbe avere un impatto significativo sulle entrate dei Paesi Opec, che nei primi sei mesi hanno incassato 645 miliardi di dollari (430 miliardi di euro), poco meno dei 671 miliardi dell’intero 2007. L’Opec potrebbe guadagnare nel 2008 qualcosa come 1.245 miliardi di dollari.

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