Novarro Montanari, l'uomo ombra

In quarant'anni al Giornale ho conosciuto, credo, qualche centinaio di colleghi. Talmente tanti che ho perso il conto. Di alcuni rammento a stento il nome, qualche altro, pochi in verità, non l'ho saputo nemmeno riconoscere tra gli album nel mio estemporaneo ruolo di consulente fotografico. Ma Novarro Montanari è impossibile dimenticarlo. Intanto per l'aspetto fisico: sfiorava il metro e novanta e sorrideva, o meglio sogghignava, da una barba via via sempre più brizzolata. Ai tempi in cui le odierne Cronache si dividevano in Interni (i fatti di Roma, dalla politica alla cronaca nera) e Province (il resto d'Italia). «Novi» dirigeva, appunto, le Province. Chi conosce i giornalisti solo attraverso i film crede che siano sempre in viaggio alla ricerca di scoop sensazionali. Mica vero. Almeno la metà si alza dalla scrivania solo per tornare a casa e l'unica cosa che firma sono gli assegni, sempre che non sia in rosso. Anche Montanari sovrintendeva al cosiddetto lavoro di cucina: ovvero scegliere gli argomenti del giorno, commissionare gli articoli ai corrispondenti locali, correggere i pezzi in arrivo, impaginarli e farci i titoli. Detto così, sembra robetta da liceali, neanche troppo svegli, invece era una battaglia quotidiana. Contro il tempo e, ahinoi, i nemici della sintassi. «Novi» ci dava dentro senza mai perdere la calma, dote rarissima, e, caso ancora più raro, sempre col sorriso a fior di barba. Lui sì era in viaggio continuo, due ore ogni giorno tra la sua Rivanazzano, oltre Pavia, e Milano. Se n'è andato quasi tre anni fa.

Si vede che era stufo di starsene in pensione.
Massimo Bertarelli - 26 aprile 2014

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