
Eugenio Finardi ha fatto un disco che guarda al futuro. Tutto affronta temi sideralmente, è il caso di dirlo, lontani da quelli abituali (e abitudinari) della canzone italiana. Si va dall'intelligenza artificiale alla fisica quantistica, passando per la legge di Bernoulli. Ma prima che possiate pensare: «Non è pane per i miei denti», bisogna aggiungere che Finardi trasforma la scienza in poesia, e questa riguarda tutti: la poesia dei difetti dell'uomo, del caos, delle possibilità perdute, il gioco delle probabilità. Tutto è un caso unico realizzato da un artista che a 72 anni, dopo successi storici, citiamo solo Extraterrestre per tutti, osa ancora e sembra sintonizzato sul presente più di qualsiasi esordiente. Ne parliamo con l'autore.
La fisica e la tecnologia sono temi difficili da incontrare in una canzone...
«Sono le mie passioni, le cose che mi interessano. Non leggo più molta fiction e mi è difficile trovare cose stimolanti in televisione. In realtà, guardo tantissimi canali tematici, per fortuna sono mezzo americano e parlo bene in inglese. Inoltre faccio letture un po' diverse dal solito. Trovo che nella realtà, per come stiamo iniziando a conoscerla, ci sia una poesia che a volte manca alla fantasia. Neanche il più grande degli scrittori potrebbe inventare certe leggi della natura».
Futuro esprime una posizione quasi mistica sull'intelligenza artificiale. Perché?
«Io credo che sarà la salvezza. Ma non sono l'unico. Ieri notte guardavo un'intervista a Yuval Noah Harari, l'autore di Homo Deus e altri bei saggi. Diceva che l'uomo è sull'orlo di una evoluzione. Tra cent'anni non ci sarà più homo sapiens. L'unione di biologia, nanotecnologie e computer quantistici porterà a una integrazione con tutto quello che ci circonda. A un certo punto non avremo più bisogno di un antinfiammatorio. Lo produrrà il nostro corpo».
In questo «superuomo» non è insito anche un rischio?
«Il problema dell'intelligenza biologica, o se vuole dell'evoluzione darwiniana, è proprio la violenza, se si riferisce a questo. Il pianeta poi ci pone davanti a un problema drastico. Il riscaldamento globale rischia di essere una strada senza ritorno. E quindi c'è da fare qualcosa in fretta. Dobbiamo sforzarci di capire che gli imperativi biologici non sono più decisivi. Non possiamo avere il potere degli dèi e mantenere gli istinti di un uomo del neolitico».
Onde di probabilità affronta la fisica quantistica. Ce ne vuole parlare?
«Un amico astrofisico, dopo aver letto il testo, ha detto: ma questa è la teoria quantistica».
La teoria quantistica riflette l'andamento delle nostre vite?
«Introduce il caos, la probabilità, cose che noi sperimentiamo tutti i giorni. Poi c'è la creazione di milioni di universi paralleli. Non essere uno scienziato ma un artista mi permette di immaginare cosa siano queste infinite possibilità, cosa comporta trovarsi a un bivio. La musica tra l'altro è una fantastica metafora per spiegare alcuni meccanismi scientifici, il collasso della funzione d'onda per esempio».
La musica è scienza?
«La musica è geometria da ascolto. Pitagora e i pitagorici l'hanno scoperto 2500 anni fa, la musica è regolata da relazioni matematiche assolutamente definite».
La battaglia è una canzone sul rapporto tra padri e figli. Che relazione ha con i brani citati fino a qui?
«Il rapporto fra padri e figli fa parte della cosa più misteriosa: il tempo. È anche una risposta a un mio brano del 1991, Mio cucciolo d'uomo. Era dedicata a mio figlio appena nato. La battaglia invece parla dei miei figli, che sono diventati tutti adulti. La canzone del '91 immaginava il viaggio della vita. Questa parla del viaggio com'è veramente. Alla fine ci si rende conto che quelli che conoscono di meno i figli sono proprio i genitori».
In Bernoulli lei dice che l'idea, quando diventa ideologia, si degrada.
«Io credo che le idee e gli ideali siano cose altissime. Le ideologie sono l'imposizione di questi ideali. Che per me è impossibile oltre che spesso violenta. Le idee e gli ideali sono una scoperta individuale, una rivelazione, una crescita interiore. L'ideologia è cedere la responsabilità di questa crescita, che è forte, pesante da portare, a un canone, a una legge, una regola che si contrappone a un'altra, invece che affrontare il tutto nella sua complessità».
Oggi gli ideali di un tempo tramontati. Anche le ideologie non se la passano bene.
«Anche le idee interessanti devo dire che non sono poi tante. Purtroppo siamo in un'epoca di grande transizione quindi è come se fossimo tutti in attesa di idee nuove».
Pentitevi immagina l'apocalisse a Milano. In cosa è cambiata Milano? E di cosa dobbiamo pentirci?
«Mio padre, classe 1909, mi raccontava che quando arrivarono le prime macchine a Milano tutti dissero: oh finalmente arriva l'automobile che risolverà il problema da sterco di cavallo. Ora le macchine sono parte del problema. Milano è il microcosmo che rappresenta il macrocosmo. È una città che contiene tutto, la Milano della povertà e la Milano da bere. Dobbiamo pentirci di esserci seduti e di aver accettato un mondo ingiusto in cambio di un po' di cinico e vuoto intrattenimento».
Che spazio ha, se ce l'ha, le fede in Tutto?
«Einstein credeva nel dio di Spinoza. La sacralità è in ogni cosa. Se c'è bisogno di una divinità, niente è più divino dell'universo, niente è più onnipotente, onnipresente onnisciente. La parte contiene il tutto. Dentro ai nostri corpi abbiamo materia nata nello scontro fra due buchi neri. È una cosa incredibile, quasi inconcepibile. Cioè, è veramente contenere il divino. La musica è un contatto diretto con l'assoluto perché è matematica che emoziona, è realtà allo stato puro».
In questo disco «scientifico», quanto conta la tecnologia?
«Siamo in un momento in cui la musica non ha limiti grazie alla tecnologia. Nella musica prima c'erano, diciamo, non li ho contati, ma diciamo 256 suoni. C'erano il flauto, l'oboe, la batteria, il triangolo, avevi questi ingredienti a disposizione. Con il digitale, con la tecnologia di oggi invece, noi possiamo avere accesso a milioni di suoni, possiamo creare i nostri suoni.
Questo disco è stato fatto così, partendo da suoni molto semplici, una chitarra, un pianoforte, la mia voce spesso, un tamburello del Salento. Questi suoni hanno creato la base di una costruzione complessa, realizzata anche con la tecnologia. Si tratta, letteralmente, di rendere le onde sonore più complesse. E anche questo è quantum».