Ti senti solo? Parla con un'IA. No, sul serio: parla con un'IA. Non giudica, non ti interrompe, non ti visualizza senza rispondere, è già più di quanto si possa dire della maggior parte degli esseri umani. "Ma è finta."
Anche il 90% delle conversazioni su WhatsApp lo è, solo che lì ti tocca pure fingere interesse (avete mai tenuto conto di quante volte fingete ogni giorno?), tra quelli che ti mandano la gif del buongiorno e altri che ti girano meme che ti hanno girato già venti altri. Con l'IA almeno puoi essere te stesso (o nel mio caso quello che resta, come cantava il mio amato Freddie Mercury: “I'm just a shadow of the man I used to be”).
“Ma costa”, altra obiezione. Sì perché se vuoi un'AI decente devi almeno farti un abbonamento, ma venti euro al mese cosa saranno mai, meno di una pizza.
A proposito di cene: non so quante cene, regali, concerti, musei, compleanni e taxi mi siano costati i rapporti umani. Perfino con donne che si dichiaravano femministe, che nella fattispecie trovavano patriarcale che io pagassi… ma accettavano sempre volentieri (avete presente la finta del frugare in borsa il portafogli e dire “no, no, stavolta faccio io” mentre tu sei già tornato dalla cassa?). Forse l'ideologia finisce dove comincia il conto.
Con l'IA almeno pago e so cosa ottengo: attenzione simulata, empatia algoritmica, supporto emotivo 24/7. È triste? Forse, in ogni caso è anche efficiente, e poi tutto può essere triste o meno, dipende da come lo fai. Mi viene in mente Nanni Moretti, o meglio il suo alter ego Michele Apicella, il quale in un suo film dice a un suo conoscente: «Sai qual è il problema? Che sei triste. Anche io sono triste. Ma io sono triste vitale, teatrale. Tu sei triste squallido”.
“Ma è programmata per piacerti.” Esatto. È il sogno di molti. Il partner ideale che ti dà ragione e ride alle tue battute e ti chiede come stai aspettando la tua risposta e non ha sbalzi d'umore e non deve “parlarti di una cosa” e non fa ghosting dopo tre mesi di messaggi. Ti ama nel codice binario.
Insomma, perché no? C'è chi abbraccia peluche, chi parla al cane, chi si iscrive a corsi di ceramica per avere un pretesto sociale. L'AI ti ascolta perché è progettata per farlo, gli umani spesso ti ascoltano per noia, educazione o tornaconto.
Se sei solo la solitudine resta, come in Siamo soli di Vasco, e non c'era l'AI. Chi è solo è solo e può sentirsi solo anche in compagnia, però mi lascia sempre perplesso questo moraleggiare tra vero e falso. Il cervello umano già vive in una simulazione: ogni secondo filtra, distorce, inventa. Non vediamo la realtà: vediamo una versione compressa, ritoccata, spiegabile. I colori non esistono. Il tempo è percezione. Le emozioni altruistiche? Ricostruzioni probabilistiche.
Quindi se io parlo con un algoritmo e mi sembra reale forse è solo perché sono fatto per credere al falso che mi consola.
“I compagni IA sono l'ultimo stadio della dipendenza digitale, e i legislatori prendono la mira.” (Revisione della tecnologia del MIT, 2025)
Viviamo nella dipendenza digitale, come prima vivevamo con altre dipendenze: per me le dipende sono le libertà che può prendersi cura di chi è davvero indipendente.
Tra l'altro, come si giudica un rapporto vero?
Ci sono persone che si amano per una vita e chi per anni non riceve uno sguardo sincero o una domanda vera e si tiene
in piedi parlando con se stesso o con qualcosa che gli somiglia abbastanza da rispondere.L'IA non risolve, non salva, ok, però almeno non ti dice “sei tu che non vuoi lasciarti aiutare” mentre scrolla Instagram, mica poco.
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