Cronaca locale

Oblivion, l’antica arte dell’avanspettacolo

Tempo di esami: addio divertimento e teatro, la notte si passa sul bigino. Tutt'altro. Per esempio, per ripassare i Promessi sposi occorre piuttosto affrettarsi proprio a teatro (al Parenti, da stasera a fine mese, alle 21.15, info: 02-59995206, biglietti 15-20 euro) e basteranno «Dieci Minuti». Forza della sintesi e della bravura degli Oblivion, quintetto di bolognesi che si ispira ad un quartetto (Cetra), irresistibile tra gli anni ’50 e ’70, ma anche ai Gufi e ai Monty Python. Il loro «Cult», la riduzione del tomo di Manzoni «che ti devasta con i suoi 38 capitoli», dura quanto la cottura di un piatto di pasta, ma continua a far sempre ridere con le sue gag dell'Innominato col tè, sulle note di «Sai cosa c'è», e del malaugurato voto di castità permanente di Lucia, sulle arie di Battiato. Ne sanno qualcosa il popolo di FaceBook, i sudditi di YouTube, gli abitanti dei blog, perché fino ad oggi è stato il web il regno degli Oblivion, che hanno collezionato 10mila visite in due settimane. Eppure la loro è un'arte quasi antica: il cabaret e l'avanspettacolo più puri riproposti col talento purosangue di chi si è formato sui palchi e nelle migliori scuole di musical ed ha anche saputo metabolizzare bocciature «eccellenti» come ai provini di «X Factor» per sua maestà RaiDue. Il garbo della satira e l'acume della parodia d'antan che piace al nonno, per conquistare i nipoti connessi ad internet: così sintetizzano il loro successo gli Oblivion, che puntano ora a conquistare «anche tutte le altre fasce d'età», assicura il quintetto. Per questa prima tournée teatrale milanese c'è chi ha rinunciato a scritture importanti perché la forza è nel gruppo e nella sintonia oltre che nelle singole professionalità. Graziana Borciani, Davide Calabrese, Francesca Folloni, Lorenzo Scuda e Fabio Vagnarelli, ovvero una ballerina di tip tap, un mimo sputafuoco, un'urlatrice emiliana, un musicista medievale, un norcino umbro. Ed ecco l'idea: compendiare capolavori e grandi artisti (in repertorio c'è anche molto Gaber, tutto l'Inferno di Dante e le sventurate lagnanze del geloso «Moro Nero», Otello) utilizzando canzoni famose, rilette, stravolte o prese a cazzotti. Inventio e dispositio, vocalità e vasto back round culturale sono alla base dei loro lavori che profumano di levità e intelligenza. Il Parenti, con André Ruth Shammah a ricordare come lo stesso Parenti e Dario Fo ebbero successo innanzitutto d'estate, ha scommesso su di loro.

Ed ecco Di Palo in Sesto, 70 minuti di vorticoso spettacolo per un compendio del loro meglio, dall'amaro e sapido «Rato l’immigrato» che in Italia cerca Dante, la badante, ai duetti dell'assurdo come quello fra un'improbabile Mina, impegnata nell'esecuzione di Parole, parole, parole, e uno stagista di call center.

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