Politica

Occhi, cuore, reni e pelle: così si «ricostruisce» il corpo

Martino, ricercatore del San Raffaele di Milano: «L’uso delle adulte è routine per la cura di alcuni tumori, come la leucemia»

Monica Marcenaro

L'ultimo studio scientifico a proposito di cellule staminali apparso su Jem, una delle riviste accreditate nel mondo della ricerca, dimostra che quelle embrionali risultano molto più efficaci nel riparare i danni di un infarto, delle staminali prelevate dal midollo osseo. La penultima, proprio di quest'estate, si è rivelata invece una mezza patacca: è vero che Robert Lanza, biologo americano, ha scoperto la tecnica per riprodurre cellule staminali bambine partendo da una singola cellula estratta dal blastocisti (l'embrione nei primi 3-5 giorni di sviluppo), ma non è vero che l'embrione originario sia sopravvissuto intatto all'esperimento.
È un susseguirsi continuo di notizie sulle staminali, cellule primitive, non specializzate che hanno la capacità di riprodursi in continuo e di generare cellule di tessuti e organi diversi. In alcune patologie hanno già dimostrato di essere l'unica arma di salvezza, in molte altre promettono di diventarlo. Per fare il punto su quello che c'è ormai di acquisito nella pratica clinica, su quanto si sta sperimentando nell'uomo e in laboratorio, abbiamo sentito Gianvito Martino, responsabile del laboratorio di Neuroimmunologia dell'Istituto scientifico universitario San Raffaele di Milano. A lui va il merito di aver pubblicato un editoriale su Nature nel maggio scorso in cui, dopo aver passato al setaccio 160 lavori di ricerca fatti in tutto il mondo sulle possibilità di cura delle malattie del sistema nervoso centrale con l'uso di staminali adulte, evidenzia un comune denominatore di questi studi: le staminali neurali non rimpiazzano quelle danneggiate o malate, come si credeva un tempo, ma hanno un effetto di «sostegno». «Si comportano come dei pompieri – precisa Martino – sono attirate dal fuoco, cioè dall'infiammazione, come quella provocata da un ictus o dal Parkinson, e vanno dirette nella zona malata, trasportando sostanze di sostegno che stimolano il tessuto danneggiato a rigenerarsi». Gli esperimenti finora sono stati condotti su animali da laboratorio, utilizzando staminali neurali e, se l'ipotesi di Martino fosse confermata, da una parte suscita delusione la mancata possibilità delle staminali neurali di sostituire, ricreandolo, un organo malato; dall'altro si aprono nuove prospettive legate alla potenzialità di queste cellule di agire come un farmaco in grado quantomeno di bloccare lo sviluppo della malattia.

Staminali adulte
Sono considerate multipotenti, in grado cioè di dare origine ad alcuni tessuti e organi, ma non a tutti. Sono dette più propriamente somatiche e sono presenti nel sangue del cordone ombelicale, da cui possono essere prelevate alla nascita senza alcun trauma per l'organismo, e nel midollo osseo. Si tratta di staminali emopoietiche, capaci cioè di generare cellule del sangue e «il loro uso è diventato di routine nella cura di malattie come le leucemie, alcuni tipi di tumori, - sottolinea Martino - e delle patologie della pelle, come nel caso delle cecità corneali e delle grandi ustioni».
Sempre con le staminali adulte si sta sperimentando nell'uomo la loro capacità di riparare i danni al cuore provocati dall'infarto e con le staminali mesenchimali (altra popolazione di cellule staminali presente nel midollo osseo insieme alle emopoietiche), gli scienziati stanno verificando la loro potenzialità nella riproduzione di ossa, muscoli e cartilagini per contrastare le malattie della crescita e alcune patologie dei grandi vasi sanguigni. Negli Stati Uniti hanno tentato con successo l'impiego di cellule staminali adulte prelevate dal midollo di un donatore per mitigare la reazione di rigetto in una paziente affetta da diabete e a cui erano state trapiantate isole pancreatiche prelevate dallo stesso donatore. E stanno già pensando al prossimo caso che sarà sottoposto a un trapianto di reni e poi a delle iniezioni di staminali che dovrebbero avere la funzione di «rieducare» il sistema immunitario del malato e in questo modo contrastare la reazione di rigetto.
«In questi campi ci sono indicazioni sia positive, sia negative nell'utilizzo delle staminali – aggiunge il ricercatore – e il prossimo passo dovrebbe essere quello di avere protocolli comuni tra i diversi centri di ricerca che prevedano l'impiego di routine di questo tipo di cellule per definirne criteri di applicazione e grado efficacia».
Dall'uomo al topo: molto si sta facendo nei laboratori di mezzo mondo per verificare la capacità di riparazione tessutale delle staminali adulte negli animali. Si tratta di sperimentazione pre-clinica e le parti del corpo sotto osservazione sono diverse. Al San Raffaele di Milano, per esempio, stanno testando sui topi l'efficacia delle staminali neurali (prelevate dal cervello di feti deceduti) nella cura di malattie neurologiche, quali sclerosi laterale amiotrofica, sclerosi multipla e Parkinson. «Dell'Alzheimer non ci stiamo occupando – spiega Martino – perché la malattia provoca un danno globale al cervello e non sappiamo ancora come trapiantare le cellule perché raggiungano tutte le zone interessate». La fabbrica degli organi ha iniziato a muovere i primi passi, invece, in Australia dove, insieme a canadesi e americani, sono riusciti ad ottenere in un topo da laboratorio una ghiandola mammaria in grado di produrre latte utilizzando una sola cellula staminale della mammella e impiantandola nell' animale a cui, in precedenza, era stato asportato il seno. A Firenze, è notizia recente, sono riusciti a individuare cellule staminali del rene che iniettate in un topo affetto da nefropatia acuta hanno contribuito a riparare e rigenerare il danno dell'organo.

Staminali bambine
Sono quelle embrionali, prelevate dalla blastocisti (l'embrione nei primi 3-5 giorni di sviluppo), considerate totipotenti perché in grado di dare origine a qualsiasi tipo di tessuto. La ricerca è ancora ai primi stadi per i problemi etici connessi al loro uso, «le indicazioni pre-cliniche fanno ben sperare – evidenzia Martino – e la comunità scientifica è oggi focalizzata sulla possibilità di creare cellule embrionali “politicamente corrette”, cioè senza la soppressione di embrioni». Tre i filoni di studio: prendere cellule staminali adulte e farle ringiovanire. È successo la scorsa primavera in Gran Bretagna dove hanno individuato una proteina in grado di riprogrammare una staminale neurale adulta facendola tornare bambina. La proteina, in altre parole, ha fatto compiere alla cellula adulta un salto indietro nella scala di sviluppo. Ed è accaduto anche in questi ultimi giorni (il lavoro è stato pubblicato su Cell in agosto) con delle cellule staminali adulte delle pelle. Un'altra strada che gli scienziati stanno percorrendo è quella di vedere se nelle cellule di un embrione cadavere ce ne sia ancora qualcuna capace di riprodursi, seguendo la logica dei trapianti di organi: il donatore ha un encefalogramma piatto, ma i suoi organi possono in un primissimo tempo avere ancora un metabolismo efficiente. Altra possibilità è quella di produrre cellule embrionali partendo da una singola cellula del blastocisti.

Ci sono riusciti già due anni fa con i topi e l' esperimento è stato replicato dal biologo Lanza quest'estate a cui sono seguite aspre polemiche: è vero che è riuscito a produrre linee di cellule embrionali prendendone una sola cellula dell'embrione originario, ma nulla è dato sapere ora sulla sua integrità e capacità di vita.

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