Dodici mesi fa, allassemblea della Banca dItalia, Mario Draghi parlava di «turbolenza finanziaria» con ripercussioni sulle economie dei Paesi avanzati, soprattutto negli Stati Uniti. Aggiungeva che «i maggiori rischi per leconomia mondiale vengono dallaccumularsi di tensioni inflazionistiche» (il barile di petrolio si avviava verso i 140 dollari al barile). «È presto - sosteneva il governatore - per valutare pienamente le conseguenze della crisi sulleconomia reale».
Dodici mesi più tardi, la turbolenza è diventata crisi e Draghi deve confrontarsi con la peggior recessione del Dopoguerra, che fra laltro ha fatto cadere i prezzi del greggio. A metà settembre il crac della Lehman ha fatto tremare il mondo, e il Fondo monetario internazionale ha valutato in 4mila miliardi di dollari lammontare degli asset tossici accumulati nelle banche e nelle altre istituzioni finanziarie. Da mesi la Bce fornisce «liquidità illimitata» alle banche e i tassi europei sono scesi all1%, limite che potrebbe essere anche superato. I disoccupati in Europa potrebbero aumentare di sei milioni di unità. Le banche italiane, assai meno colpite di altre dalla crisi, hanno comunque dovuto, in diversi casi, far ricorso ai «Tremonti bond».
Tutto, rispetto a dodici mesi fa, sè complicato. Le odierne considerazioni finali di Mario Draghi possono essere a giusto titolo definite come le sue prime «considerazioni di crisi». Sapremo solo oggi se egli veda davvero quei barlumi di ripresa che qualcuno scorge in mezzo alloscurità. Essendo presidente del Financial Stability Board, non potrà non parlare delle nuove regole per la finanza internazionale.
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