La strada è allegra e colorata. Lanterne rosse appese ai cavi dellelettricità e un via vai di auto e pedoni intenti a fare acquisti. Una vetrina piena di abiti e accessori firmati ricorda che sei nel centro di Milano. Proprio di fronte cè uninsegna: è scritta con ideogrammi cinesi. Lunica parola che riesci a leggere non è neanche in italiano, dice restaurant. Contrasti di via Paolo Sarpi, la Chinatown più grande dItalia, dove culture molto diverse convivono a fatica, fra camioncini che caricano e scaricano merci intasando la circolazione, marciapiedi pieni di carrelli per il trasporto dei pacchi e un profumo persistente di involtini primavera.
Il quartiere è diviso. Da una parte la comunità cinese, poco incline a comunicare e immersa nella sua cultura e nei suoi affari. Dallaltra gli abitanti storici della zona, che dicono «basta a ingrosso e illegalità» e non credono più nellintegrazione. Neanche alla vigilia del Capodanno cinese, che potrebbe essere una festa per tutto il quartiere. «Come lanno scorso rimarrò chiuso in casa - dice Raffaele, che abita proprio in via Paolo Sarpi -, non cè altro da fare». Gli fa eco la portinaia del civico 21: «Che altro possiamo fare? Non ho nulla contro i cinesi, ma la comunità è troppo chiusa in sé stessa».
La festa di Primavera segna il passaggio nellanno del maiale. Parte oggi alle 14.30 con la grande sfilata del Dragone fra piazza Gramsci e piazzale Baiamonti. Ci saranno anche figuranti in costume e fuochi dartificio. Non tutti qui sono contrari allavvenimento. Del resto, spiega il presidente del comitato Vivisarpi, Pierfranco Lionetto, «ormai questa festa fa parte della tradizione di tutta la città, può rappresentare un momento di comunicazione fra la cultura italiana e cinese. Lanno scorso cè stata grande partecipazione. In passato, quando la sfilata era in piazza Duomo, ci andavo con mia figlia». Una parte dei milanesi guarda a questo strano Capodanno con curiosità. «Non ho mai partecipato, ma questanno potrei fare uneccezione», racconta Mariano, che abita in via Rosmini. Massimo, proprietario di un negozio nella stessa strada, spiega: «Qui non abbiamo nulla contro i cinesi. Lanno scorso durante la sfilata non cè stato alcun problema. Ma per parlare di vera integrazione ci vorrà ancora tempo, almeno una generazione». Meno inclini a raccontare la propria festa i diretti interessati. «Io non ne so niente - dice un giovane barista cinese in via Paolo Sarpi -, non conosco questo Capodanno». Ma lavvenimento è nellaria.
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