Vancouver 2010

Le Olimpiadi senza star rischiano di diventare i Giochi del morto

L’Italia a secco di ori, le gare nascoste dal fuso ma soprattutto nessun dominatore alla Phelps

Van-cou-ver. Rigorosamente da sillabare e pronunciare pazientemente a chi proprio non riesce a memorizzare. Ragazzo, sono le Olimpiadi di Van-cou-ver. Edizione canadese e invernale, Giochi da scrivere e ripetere e scolpire nella mente altrui visto che il rischio insinuante e comprensibile è che in pochi, un giorno, se ne ricordino. A chiunque ami lo sport costa ammetterlo, ma siamo al cospetto di un fenomeno strano e imprevisto per un evento così importante: per la prima volta abbiamo a che fare con Olimpiadi in cerca di un personaggio. Non si tratta di una sgradevole storpiatura di pirandelliana memoria, bensì della cruda e semplice verità: stavolta chi perde sparisce senz’anima e sussulti, chi vince non domina abbastanza per ergersi a simbolo. Se nella notte appena trascorsa, o al più tardi oggi, qualcuno fra i Paesi partecipanti non sarà stato in grado di tirar fuori un benemerito capace d’inventarsi l’impresa della vita, ecco che ci resterà un solo tragico motivo per ricordare questa edizione: la morte del povero slittinista georgiano.

Non è solo colpa delle delusioni azzurre se corriamo un simile rischio. È un problema che con diverse sfaccettature ha coinvolto e coinvolge tutti i Paesi. L’oro di Bode Miller in supercombinata e il bronzo in discesa e l’argento in Super G sono quasi stati ignorati; per non parlare dell’altro tris, quello del norvegese Svindal (oro in Super G, argento in discesa e bronzo in gigante). E dell’ex armata austriaca che dire? Gli eredi di Hermann Maier sono andati malaccio e questo non ha fatto altro che aumentare la nostalgia per quell’indistruttibile uomo. È come se i vincenti non avessero voluto o potuto (vedi il fuso orario di 9 ore) essere personaggi capaci di tatuarsi addosso all’Olimpiade, capaci di caratterizzare l’edizione e trasmettere con le proprie gesta sensazioni che andavano oltre la vittoria o la sconfitta. Una volta c’era Alberto Tomba che soprattutto e grazie a Dio vinceva; solo ogni tanto perdeva. Nell’uno come nell’altro caso, l’Albertone era un simbolo per noi e per gli avversari, era dentro e sopra i Giochi e per questo rimaneva scolpito nella memoria. E così la Compagnoni e così - nel suo piccolo - lo stesso Giorgio Rocca quattro anni fa. Arrivò a Torino 2006 con tutta Italia che lo attendeva trionfatore dopo l’infilata di successi in coppa. Il suo ritiro pre-gara fu quasi monacale e come tale venne raccontato. Che diamine, era Rocca, non Tomba, eppure, a suo modo, Giorgio fu personaggio olimpico. Di quell’Olimpiade che pure perse e gettò via spatasciandosi dopo una manciata di secondi.

Fra Giochi invernali ed estivi c’è sempre un abisso e può sembrare ingrato scodellare il raffronto con Pechino 2008. Eppure basta un attimo: quelli cinesi furono i Giochi di...? Sì, proprio così. Qualcuno avrà subito pensato agli 8 ori di Phelps nel nuoto; qualcuno ai record nell’atletica dell’incredibile Usain Bolt, qualcun altro alla bizzosa e fantastica regina Pellegrini che toppa la sua gara, i 400, per due giorni s’immerge in un mare di critiche, poi vince l’oro con record del mondo nei 200. Che non erano la sua gara. Questo fa il personaggio.

Nella tristezza figlia dello sprofondo azzurro di questi giorni, come nella felicità degli ori conquistati dagli atleti stranieri manca tutto ciò. Manca il campione, il personaggio sopra tutti, nella buona e nella cattiva sorte, che abbia vinto o perso. Anche la bella Lindsey Vonn, nonostante l’oro in discesa e il bronzo in Super G, non è riuscita nell’impresa. Impresa, visto che sognare è bello, che magari potrebbe riuscire a Giuliano Razzoli, il ragazzo nuovo dello sci azzurro, il ragazzo che domani si giocherà l’oro nello slalom. Sarà la sua unica gara, la sua unica occasione. E avrà tutte le delusioni azzurre sulle spalle. E se non a lui, almeno, per favore, che l’impresa riesca ad altri.

Altrimenti, davvero, resteranno per sempre le Olimpiadi del povero Nodar Kumaritashvili.

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