Dopo il recente pronunciamento della Corte Costituzionale sull’incompatibilità tra i ruoli di amministratore locale e deputato, che ha portato alle dimissioni da senatore di Raffaele Stancanelli, sindaco di Catania, da antico parlamentare vorrei suggerire ai miei bistrattati colleghi alcune immodeste proposte per evitare errori, imposti dalla demagogia e sospinti dai venti sfavorevoli.
Tante ne abbiamo passate, e tutte insensate, come l’incompatibilità tra mandato parlamentare e incarico ministeriale che nel 1993 si auto inflisse la Dc, con un codice interno non condiviso dagli altri partiti. Così tutti i parlamentari democristiani si dimisero, con l’unica eccezione di Vincenzo Scotti che si dimise da ministro. Passò inosservata, risparmiandosi l’autoflagellazione, Rosa Russo Iervolino.
Furono pratiche penose negli anni delle regole imposte, contro la democrazia, dalle indagini dei magistrati soprattutto di Milano con la forzata perimetrazione di Tangentopoli (solo per alcune aree geografiche, solo per alcuni partiti). A parte le indennità, i vitalizi, le mense, i barbieri e i viaggi, tradizionale luogo comune di chi rimprovera ai parlamentari eccessivi privilegi, nella bufera, con una violenza senza precedenti, sono ora le Province, ritenute enti sommamente inutili (come se fossero utili le Regioni!).
Per le Province, riconosciute dalla Costituzione, si è stabilito ancora una volta un assurdo criterio quantitativo, rispetto agli abitanti, ma temperato dalla vastità del territorio. Non sarà difficile ai presidenti di Province e ai sindaci dei Comuni le cui tradizioni, storie, confini territoriali, identità geografiche, lingua, sono definiti in termini inequivocabili, ricorrere alla Corte per chiedere il rispetto dell’articolo 114, titolo V della Costituzione, che definisce l’ordinamento della Repubblica in Regioni, Comuni e Province, senza limiti di dimensione e di abitanti. Come cancellare con la loro storia e i loro confini le Province di Trieste, di Benevento, di Rovigo, senza negare il loro diritto formale e sostanziale di identificare realtà non oscurabili o riducibili a fantasiosi accoppiamenti?
L’articolo 13 del decreto legge sulla manovra aggiuntiva introduce un rigore insensato e inconcludente, se l’obbiettivo è spendere meno per l’attività politica: «La carica di parlamentare è incompatibile con qualsiasi altra carica pubblica elettiva». Si intende con sindaci (e già lo è per le città sopra i 20mila abitanti), con presidenti di Regione, con presidenti di Provincia, con consiglieri delle relative assemblee. Norma assolutamente insensata, giacché non riguarda, per esempio, vicesindaci, vicepresidenti, assessori, tutti chiamati, non eletti (emblematico il caso di Bruno Tabacci, assessore al Bilancio al Comune di Milano), molto più potenti e attivi di consiglieri comunali, provinciali e regionali (per i quali già vige l’incompatibilità). E inoltre il parlamentare sindaco non percepisce alcuna indennità aggiuntiva rispetto a quella parlamentare. Come è capitato a me quando ero sindaco di San Severino, la funzione è assolutamente gratuita.
Occorrerà dunque riconoscere che l’unico modo per risparmiare non è stabilire l’incompatibilità, ma imporre a centinaia di parlamentari forzatamente fannulloni o con inevitabile inefficacia di fare i sindaci e gli assessori gratis. Con ciò si risparmierebbero gli stipendi relativi alle cariche degli enti locali e si darebbe modo ai parlamentari di lavorare nei giorni in cui non hanno attività d’aula, quattro su sette. Occorrerebbe dunque estendere la compatibilità anche tra deputato e sindaco anche per Comuni sopra i 20mila abitanti. Il deputato tornerebbe nel collegio per fare il sindaco dal giovedì al martedì. Mi pare più che sufficiente. E oltre all’evidente risparmio, aumenterebbe il potere e l’efficacia dei sindaci in diretto rapporto con il parlamento e con il governo.
Quanti sindaci non riescono a parlare con parlamentari, sottosegretari e ministri? E come sarebbe più utile che, per le pratiche del proprio Comune, il sindaco parlamentare, a Roma nei giorni d’aula, potesse proporre, affrontare e risolvere questioni che i sindaci lontani da Roma rimandano e, quando faticosamente le affrontano, necessitano di dispendiose missioni dal paese alla capitale? Senza necessità di ridurre i parlamentari, ma imponendo il doppio incarico, si risparmierebbero gli stipendi dei sindaci e se ne aumenterebbe l’efficacia e il potere. Così accade in Francia, dove c’è una lunga tradizione di sindaci parlamentari. Da noi non solo non si ragiona, ma si ignorano norme già esistenti come quella che ho indicato, che preclude al parlamentare per qualunque carica elettiva di avere un’ulteriore indennità. E questo vale, oltre che per Stancanelli, per i presidenti delle province di Asti, Maria Teresa Armosino, di Salerno, Edmondo Cirielli, di Napoli, Luigi Cesaro, di Foggia, Antonio Pepe, oltre che di Francesco Rutelli, consigliere del Comune di Roma e senatore.
Come concepire un articolo tanto demagogico quanto insensato come l’articolo 13? Come fingere di ignorare la maggiore efficacia, e l’evidente risparmio, di un sindaco parlamentare (uno uguale uno stipendio) rispetto un sindaco e a un parlamentare (due uguale due stipendi)?
Ricorderò infine il caso abnorme ed esemplare del bravissimo sindaco di Varallo, vicesindaco di Borgosesia, consigliere della Provincia di Vercelli e deputato Gianluca Bonanno. Votatissimo, ha fatto molto da sindaco e ha fatto di più come sindaco parlamentare. Ed è qui la questione morale. Vogliamo negare l’evidenza? E fingere che, con i chiari di luna di un parlamento mortificato dal sistema elettorale che rende spesso impotenti i deputati, non si possano fare bene due funzioni? E perché allora ci si lamenta che i parlamentari fanno troppo poco? Diamogli più incarichi e un solo stipendio. Risparmieremo tutti e avremo migliori risultati. E infine, per i parlamentari nominati (con l’attuale abominevole legge elettorale), sarà un interessante banco di prova misurarsi con il voto di preferenza degli elettori nelle competizioni per diventare sindaco. Oltre al risparmio degli stipendi, la sollecitazione a candidarsi rappresenterà un correttivo per chi è arrivato in parlamento senza la volontà degli elettori. È questa l’unica incompatibilità.
L’articolo 13
dovrà dunque essere semplicemente emendato, con evidente contenimento della spesa: «La carica di parlamentare è compatibile con qualsiasi altra carica pubblica elettiva». Così avremo finalmente in parlamento qualche eletto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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