In una frazione di secondo, ieri pomeriggio, davanti ai cancelli di Mirafiori, è apparsa un’istantanea che ha sepolto un vecchio mondo. Appena Nichi Vendola si è presentato alla porta 2 della fabbrica, un folto gruppo di operai lo ha subissato di buuu e fischi, sventolando diverse copie del Giornale. Per la cronaca, i contestatori inalberavano pagina sette del numero di ieri su cui campeggiava il titolone: «Sorpresa, Vendola a Bari fa il Marchionne».
Vendola era arrivato a Mirafiori per incoraggiare le maestranze a votare no al progetto Marchionne nel referendum di oggi e domani, in aperto appoggio all’arcigna posizione della Fiom-Cgil, contro quella morbida di Cisl e Uil. La contestazione, Giornale in pugno, ha svergognato Vendola e la frusta leggenda che ancora oggi, nel 2011, la sinistra monopolizzi fabbriche e operai.
Nichi ha avuto l’imprudente sfacciataggine di presentarsi a Mirafiori da solo, come fosse il massimo rappresentante della sinistra e la quintessenza dell’operaismo. È riuscito invece solo a sottolineare che grandi assenti alla vigilia del referendum erano il Pd e i suoi papaveri. Costoro sono divisi tra chi appoggia Marchionne e chi sta con la Fiom. Immaginiamo che le maestranze incerte sulla scelta di domani si siano sentite anche più sole nel vedersi trascurate da quello che fu il partito di riferimento e nel trovarsi davanti solo un simpatico fricchettone.
Più intrigante, lo sventolamento in faccia a Nichi del Giornale. Che molti nelle fabbriche, stufi degli smargiassi alla Landini (capataz della Fiom), si fidino più del centrodestra è assodato. Le settimane scorse il Giornale ha ospitato centinaia di firme di tute blu e quadri di Pomigliano che prendevano le distanze dagli oltranzisti. «Noi rischiamo la fabbrica e il posto per il protagonismo di alcuni con l’occhio puntato a una futura carriera politica», ha scritto uno di loro, rappresentando il pensiero di tutti. Da quando il berlusconismo ha messo l’accento sul «fare» - anche con qualche retorica -, chi vive di salari e stipendi si trova più a suo agio a destra che a sinistra. Il Pdl si è schierato con la realistica ricetta di Marchionne e chiede qualche sacrificio in più sull’età pensionabile, gli orari di ufficio, eccetera. Però punta comunque al lavoro, a tempo determinato o indeterminato che sia, e incoraggia il darsi una mossa. La sinistra appoggia tutti i capricci sindacali, gli orari brevi, le cure termali e continua a considerare l’imprenditore come il nemico da combattere. Dove passa, crescono come gramigna cassa integrazione e disoccupazione.
Questo già basterebbe per spiegare perché Nichi sia stato accolto a Mirafiori con lo sventolio del Giornale. Ma nel suo caso c’è di più. In Puglia - questo raccontavamo nell’edizione di ieri - Vendola ha col sindacato lo stesso rapporto che ha Marchionne: cane e gatto. La differenza è che l’ad di Fiat è in dissenso solo con la Fiom. Il governatore di Bari con la Triplice al completo. Cgil, Cisl e Uil gli rinfacciano di essere sordo «alle istanze dei lavoratori», di decidere «unilateralmente» e, più in generale, di intrattenere «scorrette relazioni sindacali» nella Regione. Sembra di sentire lui che se la prende col negriero Marchionne. È tipico degli uomini di sinistra pensare che a loro sia permesso ciò che condannano negli altri. Questa regola distorta vale per Nichi dieci volte più che per chiunque del suo giro.
Vendola si considera un essere speciale. Un angelo caduto in terra per imporre le mani e salvare il mondo. Quelle che i sindacati pugliesi considerano decisioni «unilaterali» sono per Nichi espressioni di una personalità carismatica. La sua. A essa, tutti dovrebbero piegarsi grati ed estasiati. Se poi non lo capiscono, vadano all’inferno. In sette anni di guida della Puglia - nonostante deficit paurosi, scandali di ogni genere, inchieste giudiziarie da farne un tribunale a cielo aperto - Nichi non ha fatto uno straccio di mea culpa. Anzi, da semplice deputatino di uno sparuto e antidiluviano partituccio marxista (Rifondazione) si è talmente montato la testa da puntare alla presidenza del Consiglio. La via - vincere le primarie del Pd e poi le elezioni politiche - è impervia come farsi prendere sul serio con l’orecchino al lobo, ma lui ci crede.
Vendola non è un radical-chic. Di sé ha una percezione più alta e irripetibile. È un uomo del popolo che si è riscattato dalla povertà delle origini e il mondo è suo. In filigrana, la storia di Gesù. Sentite come parla del proprio mestiere di governatore: «Tra me e i pugliesi c’è un rapporto prepolitico. Nonne e madri mi fermano. I bambini mi mandano lettere di consigli». Ciò che gli accade ha sempre significati trascendenti. Oltre all’orecchino porta un anello. Glielo donò un pescatore il giorno in cui fu eletto presidente della Regione. Tendendolo, l’uomo disse: «Avevo giurato che se vincevi ti avrei dato la cosa più cara: è la fede di mia madre». Nichi infilò la vera (al pollice, essendo troppo larga per l’anulare) e proclamò urbi et orbi: «Simboleggia il mio matrimonio col popolo». C’è tutto Vendola in questa trombonata. Ecco poi cosa pensa di sé: «Sono cattolico, sia pure nella forma più imperfetta. Eterodosso, perché inguaribilmente libero. Vecchio, perché vivo sulla mia pelle l’atrofizzazione del capire».
E fin qui siamo nel tran tran del quotidiano. Sentite invece come sbarella quando s’invola nelle astrattezze. «La vita altrui che è il paradigma del limite nostro, violando il quale romperemmo il senso della nostra vita e di tutta la vita». Un tipetto dal pensar scorrevole, non c’è che dire.
Con questo bell’istinto per la comunicazione, Nichi si è recato a parlare con gli operai di Torino affossando, tra gli sventolii del Giornale, quel che restava di fiducia nella sinistra. Gli è andata bene, poteva finire peggio.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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