È stata operata al seno. Ed ha anche subito un'asportazione. Ma il tumore non c'era e l'intervento si è rivelato inutile.
Questa l'assurda storia di Nadia P., entrata in sala operatoria per niente. Il suo intervento risale al dicembre del 2000, all'istituto clinico Humanitas di Rozzano. L'équipe di senologia, all'epoca guidata dal primario Sergio Orefice, ebbe forti dubbi sulla natura del tumore della donna. E per precauzione decise di intervenire.
Dopo tredici anni, il Tribunale di Milano ha decretato l'inutilità di quell'operazione (e soprattutto di quell'asportazione), tanto che il giudice Andrea Borrelli ha accolto l'istanza della donna e ha stabilito un risarcimento di 72.509 euro a carico dell'ospedale. Alla cifra si devono aggiungere gli interessi maturati in questi anni e le spese di giudizio, fissate in 6.500 euro.
Quasi 80mila euro per riparare a un danno che Nadia si porterà appresso per tutta la vita: dopo la resezione del quadrante destro lei non si è sentita più la stessa ed ha dovuto convivere con una femminilità «monca», con un trauma che avrebbe tranquillamente potuto evitare. Il tribunale di Milano riconosce l'errore medico e, in parte, la ferita psicologica. Detto questo, meglio un'operazione inutile che un tumore maligno irrisolvibile.
Dal canto suo, la direzione sanitaria dell'Humanitas, analizzando nuovamente la cartella clinica in mano agli avvocati, ricostruisce la storia di Nadia e parla di «forti sospetti di malignità».
In sostanza, la natura della lesione al seno della donna non era apparsa chiara dagli esami diagnostici pre operatori. Dalle varie tac e mammografie non si riusciva cioè a capire la gravità del cancro né a determinarne la natura maligna o benigna. Per questo i medici decisero di operare e programmarono un intervento chirurgico per rimuovere la lesione sospetta ed escluderne la malignità. Da qui la sala operatoria, l'asportazione, la degenza. E poi ancora, lo psicologo, un complesso nello scoprire il seno o semplicemente nel mettersi in costume da bagno. Tuttavia l'esame istologico, effettuato come sempre sul materiale organico asportato in sala operatoria, non confermò il tumore maligno. Confermò tuttavia la presenza di una lesione non maligna ma - precisano i senologi - «con una potenziale aggressività». In questo caso si parla di tumori desmoidi, che da un momento all'altro, insomma, potrebbero trasformarsi da benigni in maligni. La decisione di intervenire quindi non fu campata per aria ma venne presa come estrema precauzione per salvaguardare la salute della donna.
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