Ora il conto non lo paghino i disoccupati

Il conto è stato presentato. Chi lo pagherà, però, è ancora tutto da vedere. La cartella esattoriale da 117 miliardi di dollari sventolata da Obama sotto il naso di banchieri troppo lesti nel riabbracciare l’antico vizio dei bonus a sei zeri non appena un soffio di ripresa è tornato a farsi sentire, rischia infatti di non pesare soltanto sui bilanci delle corporation del credito. Piuttosto, il pericolo è quello di un effetto boomerang, con i clienti di quelle stesse banche chiamati a sostenere in parte l’onere dell’imposta. Magari sotto forma di maggiori costi occultati in qualche clausoletta inserita nei contratti. Un riflesso doppiamente paradossale: da un lato, le famiglie americane sono le meno responsabili di una crisi da cui sono uscite con le ossa rotte; dall’altro, verrebbero penalizzati ancor di più quanti hanno subìto una pesantissima riduzione del potere d’acquisto con la perdita del posto di lavoro.
Del resto, quando ha deciso di partire lancia in resta contro le grandi banche, Obama deve aver pensato ai circa 16 milioni di disoccupati. Un esercito destinato a rimanere numeroso almeno fino al 2012, se si riveleranno centrate le previsioni del Cbo (Congressional budget office) secondo cui l’America non riuscirà prima di un paio d’anni a comprimere sotto l’8% (ora è sopra il 10%) il tasso di disoccupazione.

Poi In caduta di consensi e con l’appuntamento insidioso delle elezioni di metà mandato in cima all’agenda, Obama doveva mandare un messaggio forte e chiaro non solo alla comunità finanziaria, ma alla nazione tutta. Ora dovrà però vigilare: chi ha come unico bonus il sussidio di disoccupazione, non deve pagare gli stravizi altrui.

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