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Ora è Praga a tenere in bilico l’Europa

Venerdì il destino del Trattato di Lisbona (il complesso delle norme che definiranno i nuovi assetti istituzionali dell’Unione europea) sarà nelle mani degli irlandesi, chiamati a una replica del referendum con il quale nel giugno 2008 lo bocciarono clamorosamente. I sondaggi questa volta sembrano indicare la vittoria dei sì, spiegabile più che altro con la cospicua entità degli aiuti messi a disposizione dall’Unione durante la crisi economica, che a Dublino ha picchiato duro. Ma gli irlandesi sono teste dure e nessuno si azzarda a dare il risultato positivo per già acquisito.
Ma a Bruxelles non sono tanto preoccupati dell’Irlanda, quanto della Repubblica ceca, uno dei tre Paesi (c’è anche la Polonia) che non ha ancora provveduto alla ratifica. Infatti il presidente ceco Vaclav Klaus, noto euroscettico, ha più volte ripetuto che non intende controfirmare il trattato prima di sapere come si sono espressi gli irlandesi (e non molto diversamente ragiona il suo collega polacco Lech Kaczynski). Per questa ragione il presidente della Commissione europea José Manuel Durao Barroso ha deciso di sobbarcarsi tra ieri e oggi una due-giorni a Praga per esercitare pressioni sui leader dei principali partiti.
Nel mondo politico praghese se ne vedono di tutti i colori. Da una parte una ventina di senatori dell’Ods hanno presentato un ricorso alla Corte costituzionale nel tentativo di “sgambettare” il Trattato: sanno di avere poche possibilità di successo, ma si accontentano anche solo di ritardare il processo di ratifica; dall’altra c’è chi minaccia addirittura di trascinare il capo dello Stato in tribunale per costringerlo a quella firma che si rifiuta di concedere: la motivazione dell’accusa (che suona un po’ bizzarra in verità) è «scarsa produttività della prima carica dello Stato».
Barroso, e non solo lui naturalmente, teme insomma più il cocciuto Klaus (e probabilmente anche Kaczynski) dei bizzosi irlandesi. Dalla sua stilografica rischia di dipendere la mancata introduzione in Europa di nuove regole e nuove figure istituzionali, tra cui quella di un presidente del Consiglio non a rotazione e di un “ministro degli Esteri” dell’Unione. Ma forse ha dimenticato un fattore-rischio. Si tratta della possibile opposizione al trattato di una regione autonoma della Finlandia, le isole Åland. L’arcipelago di seimila isolette deve ancora dare il suo assenso (la Finlandia ha già ratificato), e a norma di legge deve contare sui due terzi dei deputati. I 27mila abitanti si sono accorti della rara occasione per far pesare la propria adesione.

E qualcuno a Bruxelles teme per il Trattato un naufragio, più che nel Baltico, nel ridicolo.

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