Ora Al Qaida fa smentite preventive

Piatto ricco mi ci ficco. Un tempo era il loro motto. Nessuno c’avrebbe rinunciato. Nessuno si sarebbe tirato indietro. Quando Osama Bin Laden era un capo vero e non un ectoplasma mediatico, i suoi kamikaze avrebbero fatto a gara per buttarsi tra gli spalti di una partita di Coppa del mondo e far a pezzi qualche decina d’innocenti sportivi. Invece a soli nove anni dall’apogeo dell’11 settembre sembrano i nuovi dorotei del terrorismo.
Uno di loro dall’Irak si permette di pianificare una sana, vecchia strage negli stadi sudafricani e loro lì a chiosare, discutere, prendere le distanze, ricordare che nessuno l’ha ancora deciso. Roba da far venire il latte alle ginocchia. Roba da cancellare le ultime certezze. Incominciamo da quello che sembrava il prologo di una Coppa del mondo segnata dalla paura. Tutto inizia a Bagdad il 17 maggio quando le forze di sicurezza annunciano d’aver strappato un’inquietante confessione ad Abdullah Azzam Saleh Al Qahtani, un ex ufficiale saudita trasformatosi dopo la diserzione e il trasferimento in Irak in uno dei capi della locale cellula di Al Qaida. Stando agli iracheni il terrorista Qhatani ha lavorato all’organizzazione di un attentato contro le squadre di Olanda e Danimarca durante la trasferta sudafricana. La rivelazione suona assolutamente credibile. Qhatani è il responsabile militare di Al Qaida a Bagdad in diretto contatto - secondo alcune fonti - con Al Zawahiri, il numero due dell’organizzazione terroristica guidata da Bin Laden. Anche l’obbiettivo suona plausibile. I danesi sono nel mirino da quando Copenaghen si rifiutò di censurare le vignette su Maometto. Gli olandesi sono in allarme da quando il politico di destra Geert Wilders lanciò un film in cui si mescolavano versetti del Corano e immagini di terrorismo. E invece ecco la delusione. Amara e inaspettata. Quelli di Al Qaida a Bagdad non ci stanno. Invece di approfittarne per seminar terrore senza muovere un dito fanno i precisini. Prendono computer e internet e diramano un comunicato in cui si tirano indietro, prendono le distanze da quell’ipotetica strage perfetta, da quell’obiettivo da manuale. «Smentiamo totalmente questa notizia nessuno di noi - scrivono - ha mai pensato di spingere la propria ambizione e la propria immaginazione così lontano». Insomma anziché, volare alto, sognare Johannesburg in fiamme, promettere una riedizione dell’11/9 capace di far tremare il mondo si comportano come tremebondi ragionieri del terrore, spiegano che quell’obiettivo è troppo lontano dalla loro zona, troppo impegnativo per le loro capacità.
A rendere ancor più cocente la delusione ci si mette anche quel Qhatani considerato l’ispiratore del complotto anti mondiale.

Intervistato in carcere ammette di non aver - in verità - mai ricevuto il via libera da Zawahiri e dagli altri capoccioni di Al Qaida. Insomma roba da non credere. Roba che se ragionava così anche l’egiziano Mohammed Atta, capo del commando dell’11 settembre, non venivan giù le Torre gemelle, ma al massimo mezza palazzina della periferia del Cairo.

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