Ora Schröder gioca la carta Iran

Ora Schröder gioca la carta Iran

Gli americani non l’hanno presa bene. I tedeschi dovevano aspettarselo e, probabilmente, se lo aspettavano proprio. Propria o impropria che sia, una nuova incognita si è venuta a inserire contemporaneamente in due o tre processi politici ciascuno dei quali abbastanza importante e complesso per sé: la crisi internazionale sulle ambizioni nucleari dell’Iran, i rapporti fra gli Stati Uniti e l’Europa, la riforma dell’Onu. Oltre che, naturalmente, il fattore «scatenante» (almeno come data) che sono le imminenti elezioni in Germania. È in gran parte per iniziativa del cancelliere Schröder, infatti, che questi nodi vengono ad aggrovigliarsi sotto una pressione di calendario. Schröder ha infatti scoperto le sue carte per la campagna elettorale. In pratica, anzi, la sua carta, dal momento che non gliene rimangono in mano altre. Se le elezioni per il Bundestag andranno secondo le previsioni, la gente voterà «col portafoglio» (l’espressione è americana, ma l’abitudine è anche tedesca) e manderà a casa il leader socialdemocratico, ritenendolo responsabile del prolungarsi della recessione. A meno di un mese dal voto Schröder è nettamente indietro, ancora più di quanto lo fosse tre anni fa. È cambiato il suo sfidante, da Edmund Stoiber, bavarese incapace di sorriso, ad Angela Merkel, sassone priva di grande personalità ma che si aspetta di vincere, anche largamente, per un solo motivo: la voglia degli elettori di mandare a casa il governo attuale.
Nel 2002 Schröder era dato per sconfitto a dieci giorni dal voto; poi, come si ricorderà, ebbe il colpo di coda: si avvicinava l’invasione americana dell’Irak, la grande maggioranza dei tedeschi vi era contraria, egli si impegnò a non collaborarvi se rieletto. E la spuntò con un margine da brivido: 8.500 voti. Da allora la situazione è per lui peggiorata, al punto che egli ha pensato bene di convocare elezioni anticipate. I sondaggi lo danno molto più indietro di quanto fosse tre anni fa, il suo Partito socialdemocratico ha subito una scissione a sinistra, ancora una volta gli si presenta però un’occasione: dopo l’Irak, gli americani mettono sotto forte pressione l’Iran. Con accuse molto simili e certamente più credibili di quelle infondate che avanzarono per l’attacco a Bagdad. E il cancelliere tedesco è balzato sull’occasione: contraddicendo quasi parola per parola Bush che aveva detto di non escludere «nessuna opzione» (dunque neppure quella militare), Schröder ha definito un’azione bellica «completamente inutile ed estremamente pericolosa» e ha avvertito: «Finché sarò cancelliere io la Germania non parteciperà in alcun modo a un’eventuale impresa del genere».
Egli punta, evidentemente, su una risposta degli elettori simile a quella del 2002. Tutti sanno che questa volta è molto più difficile, per una serie di motivi. È vero che un attacco all’Iran sarebbe impopolare. Ma è anche vero che, nonostante le parole di Bush, un bis della guerra mesopotamica è improbabile e comunque tutt’altro che imminente. Se non altro per il motivo che gran parte delle forze di terra americane sono impantanate in Irak. È più probabile, semmai, un’azione limitata a un bombardamento aereo o missilistico contro le centrali nucleari «sospette». Ma neanche questa appare imminente e non c’è in Europa quel senso di allarme immediato di due o tre anni fa. Nell’equazione si infila poi, come si accennava sopra, un’altra incognita, che riguarda le Nazioni Unite. È questione di giorni ormai una decisione sulla riforma dell’Onu e in particolare su quella del Consiglio di sicurezza. Da tempo la Germania ha posto, assieme al Giappone, all’India e al Brasile, la propria candidatura a un seggio permanente, anche se sfornito del diritto di veto, raccogliendo non pochi consensi nell’Assemblea generale ma incontrando anche opposizioni molto tenaci, fra cui quella dell’Italia. Neppure l’America manda a Berlino messaggio incoraggianti, anche se non si è pronunciata finora precisamente per un «no» che equivarrebbe a un veto. Nelle ultime due settimane, anzi, la diplomazia di Washington si era mostrata più «aperta». Il motivo è abbastanza semplice: in piena campagna elettorale tedesca non è nell’interesse Usa aiutare l’attuale cancelliere, considerato come un critico e un guastafeste quasi quanto il presidente francese Chirac. Siccome è prevista la sua sconfitta, meglio fare un regalo al suo successore, che ci si attende molto più «fedele», ovvero «atlantico». Ma il voto all’Onu dovrebbe venire prima delle elezioni del Bundestag ed è nell’interesse di Schröder cercare di arrivarci.

Di modo che un eventuale «sì» di Washington (pensato come omaggio ad Angela Merkel) possa venire interpretato come un riconoscimento alla linea attuale e un «no» a Schröder essere interpretato come un «no» alla Germania e rafforzare così la sua posizione elettorale.

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