da Londra
Vincente quanto arrogante, carismatico non meno che superbo. Dall'ego smisurato, sfrontato a tal punto da presentarsi - il primo giorno al Chelsea (estate 2004) - come lo «Special One». Chissà se quattro anni dopo José Mourinho avrà imparato a dirlo anche in italiano. In poco più di tre anni allo Stamford Bridge il portoghese ha collezionato sei trofei e una lista così di baruffe via mezzo stampa (la sua specialità). Ieri il suo arrivo a Milano alle 18 per firmare il contratto con lInter. Ecco ora che cosa ci aspetta.
I suoi trucchi
Ogni vittoria era la sua vittoria. Ogni sconfitta, l'inevitabile effetto di una congiura ai suoi danni. Ordita da un nemico sempre diverso. La stampa, i poteri forti, la Uefa, gli arbitri. Un uomo perennemente solo contro tutti. Un Don Chisciotte vestito Armani, pronto a nascondersi nella cesta dei panni sporchi per intrufolarsi nello spogliatoio da squalificato (quarti di finale di Champions contro il Bayern Monaco). Perché Mourinho è maestro di tattica e di pretattica. Abile nell'insegnare ai suoi così come nel creare polemiche ad arte per distrarre stampa e opinione pubblica dai veri problemi. Quelli che lui negherà fino alla contraddizione.
Lamore della squadra
Allo Stamford Bridge è stato cacciato quando sono emerse le prime crepe nei risultati. Fin lì, nonostante il carattere ingestibile, le mille polemiche, la propensione difensivistica, Mourinho era risultato inattacabile. Adorato dai tifosi, amato dai suoi giocatori, sicuramente dai senatori del gruppo conquistati dal suo sfrontato charme. D'altronde ancora adesso pure i tabloid d'Oltremanica rimpiangono la sua partenza. «Ha portato qualcosa di fresco e nuovo nel nostro calcio - il giudizio di Sir Alex Ferguson -. Mi sono divertito a confrontarmi con lui. Siamo rimasti in contatto, ricomincerà a vincere presto».
Il rispetto degli altri
Un mattatore capace di trasformare ogni conferenza stampa in uno spettacolo personale. «La Premier League ha perso il suo più grande personaggio. José sa essere eccentrico con la stampa come nessun altro», secondo Sven-Goran Eriksson. E non solo. Chiedere a Arsene Wenger che una volta si è sentito dare del «guardone» per aver osato criticare il gioco dei Blues. «Non ci siamo sempre trovati, ma non significa che non lo rispetti - ha ammesso il francese -. È arrivato quando il Chelsea era già una squadra forte, ma lui ha fatto la differenza. Merita grande considerazione perché non è facile vincere in Inghilterra, soprattutto se sei uno straniero». Ancora più duri gli scontri con Rafa Benitez, che Mourinho non ha mai perdonato per la doppia eliminazione dall'Europa (2005 e 2007). «Tutti sanno quello che penso di lui, meglio non aggiungere altro», eloquente lo spagnolo.
I suoi fedelissimi
Tra i suoi (ex) giocatori, è raro imbattersi in voci dissonanti. Didier Drogba lo considera un secondo padre, gli è grato per la maturazione tattica e per certi trattamenti di favore. «Quando ero in diffida mi consigliava quando prendere il giallo per lasciarmi andare qualche giorno in vacanza a Dubai», ha confessato l'attaccante ivoriano. I suoi scudieri a Londra erano John Terry e Frank Lampard, questultimo già sulla via di Milano. «Non c'è molto da dire, parlano i risultati per lui. José è il miglior tecnico che ho mai avuto. Ma soprattutto è un grande uomo», sostiene il difensore inglese. I suoi fedelissimi assicurano che tratta tutti - grandi campioni come i giovanissimi - alla stessa maniera. Tutti uguali, ma qualcuno è più uguale di altri. Non Andrij Shevchenko, tra i pochissimi a scoccare qualche frecciata polemica. «È un professionista, tutto qui. Astuto tatticamente, con idee precise, ma ho avuto allenatori migliori.
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