«Gli ospedali privati paghino l’università ai loro futuri dottori»

Gli ospedali privati facciano i conti e pensino al numero di medici di cui avranno bisogno fra cinque anni. Venti? Cinquanta? Ecco, per risolvere il problema della carenza di personale e del turn over non rispettato, in futuro le aziende ospedaliere private potrebbero coltivare da sé le nuove leve di dottori. Cioè potrebbero pagare a venti, cinquanta studenti l’università di medicina. In cambio di una promessa: dopo la laurea i giovani medici non se andranno a lavorare chissà dove ma resteranno all’interno dell’ospedale. Suona più o meno così la proposta che oggi l’assessore regionale alla Sanità Luciano Bresciani lancerà ai presidi di facoltà, riuniti attorno al tavolo del Pirellone per studiare come risolvere il problema della carenza di personale in corsia.
Entro il 2015 infatti la Lombardia perderà almeno 7.600 medici, in pratica 2 su 5 di quelli in servizio. E il numero chiuso alle facoltà di Medicina non aiuta certo a rimpinguare le fila dei camici bianchi. Per questo bisogna correre ai ripari. «Senza escludere la possibilità - propone Bresciani - di valutare azioni coraggiose o rivoluzionarie, come l’abolizione del numero chiuso». Se non abolirlo, almeno creare strade alternative. Quali? Oggi l’assessore sfodererà anche un altro jolly e proporrà ai presidi una soluzione. In pratica, chiederà di creare due percorsi all’interno dell’università di medicina, prendendo spunto dal modello Usa. Un percorso tradizionale, come avviene ora, con il numero chiuso e con i corsi finanziati dallo Stato agli studenti ammessi alla facoltà. E un altro percorso, riservato a chi invece non passa il test: gli studenti potrebbero comunque frequentare la facoltà pagando di tasca propria la totalità delle spese, senza quindi gravare sul sistema pubblico. Se riuscissero comunque a diventare medici, allora avrebbero diritto alla defiscalizzazione della quota delle rate universitarie per i primi cinque anni di lavoro. «La cultura - sostiene Bresciani - non si nega a nessuno. La Regione Lombardia vuole usare tutte le forze possibili per produrre valori. Il numero chiuso non ha più senso e impedisce a priori un percorso».
Insomma, anche a detta dei presidi di facoltà, il numero chiuso sembra aver fatto il suo tempo. È servito, alla fine degli anni Novanta, per regolare il boom di richieste. Ma ora non solo non serve, rischia perfino di creare il problema opposto e cioè di lasciare gli ospedali a secco di medici.


Matricole a parte, in base a una relazione stesa dalla direzione generale della Sanità in Regione Lombardia, emerge che «il numero di posti di specializzazione messo a disposizione ogni anno dalle università lombarde nelle varie discipline non è sufficiente per coprire il fabbisogno. Per questo la Regione ha già chiesto di aumentare da 750 a 1.277 i posti totali all’anno per gli specializzandi».

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