Così Borges traccia la "mappa segreta" del labirinto dell’oggi

Gli scritti del grande argentino segnano una rotta malinconica ma vitale

Così Borges traccia la "mappa segreta" del labirinto dell’oggi

La mappa segreta, di Jorge Luis Borges (Adelphi, pagg. 260, euro 22; a cura di Tommaso Scarano, traduzione di Rodja Bernardoni), rimanda nel titolo a Buenos Aires come spazio privato, «di memorie, di incontri, di addii, forse di agonie e di umiliazioni».

Non la città conosciuta, insomma, ma quella intima «delle nostre biografie» e che, se estesa a delineare altri punti e luoghi argentini finisce per comporre «una mappa (pubblica e affettuosa) di glorie».

Si capisce poco o nulla di Borges se non si tengono a mente due cose, epopea, ovvero epica, e mito: «Sono i travagli che muovono le memorie/ degli uomini al canto, la battaglia mortale, il duro orrore della mitraglia,/ la ferma spada e le sanguinose glorie». Borges è l'antidemocratico («la democrazia è una superstizione fondata su una statistica») e solitario cantore della bellezza come antidoto all'insensatezza del mondo e del coraggio personale, individuale, come norma di comportamento: «Vincere o essere vinti/sono facce di un Caso indifferente,/ che non c'è altra virtù che essere coraggiosi».

«Borges vale il viaggio» aveva scritto negli anni Trenta Pierre Drieu La Rochelle dopo averlo conosciuto in Argentina. Trent'anni dopo, quando Dominique de Roux gli dedicò il quarto Cahiers de l'Herne con 60 testimonianze e saggi critici che lo imposero in Francia e da lì nel resto dell'Europa, per l'intellighentia raggruppata intorno a Sartre e Aragon era ancora, come intitolava la rivista Les Temps modernes, «un homme à tuer», da uccidere. Incorreggibili.

Ancora oggi Borges vale il viaggio, soprattutto ora che l'inflazione borgesiana post-mortem si è andata affievolendo per poi spegnersi, quella che, tutta presa dal compito di rimaneggiarlo per farlo entrare nel supermarket del politicamente corretto, ne aveva fatto una specie di santino intellettuale infilzato nella sua Spada, perso nel suo Labirinto, ritratto davanti al suo Specchio, dentro la sua Biblioteca... Barocco e razionale insomma.

Il sottotitolo di La mappa segreta è «Testi ritrovati (1933-1983)» ed è una silloge che si affianca a quella che con il titolo Il prisma e lo specchio, copriva il decennio che dalla fine della Prima guerra mondiale arrivava all'inizio degli anni Trenta.

Districarsi in esso non è facile e forse varrebbe la pena lasciarsi andare alla miriade di suggestioni che la straordinaria erudizione di Borges offre al lettore: «Constato con una specie di agrodolce malinconia, che tutte le cose del mondo mi conducono a una citazione e a un libro»... Per esempio, «la crudele e simulata passione per la legalità» propria del Nord America e più in generale delle nazioni occidentali non latine, a fronte di quella affermazione donchisciottesca e quindi spagnola, che «non è bene che uomini onesti siano aguzzini di altri esseri umani».

Oppure quella definizione della Divina Commedia come «una città che non esploreremo mai tutta; la più conosciuta e ripetuta delle terzine può, un pomeriggio, rivelarmi chi sono o che cos'è l'universo».

Tuttavia, se si volesse cercare un filo conduttore, partendo proprio da quella Buenos Aires segreta citata all'inizio, descrivibile solo per allusioni e simboli, questo potrebbe essere il continuo girare intorno a un sentimento nazionale, a un concetto di identità atto a preservarne e insieme a riscattarne quegli elementi divenuti nel tempo più corrivi, il gaucho, la pampa, il tango, la milonga, «una sorta di nostalgia per uno stile di vita losco e rissoso». Non a caso, in un testo che è degli anni Ottanta, Nostalgia del latino, Borges affianca a una storia di indipendenza nazionale «che raggiunge a mala pena il secolo e mezzo» di vita, un ancorarsi alla tradizione occidentale, a una cultura occidentale, che è la più propria e la più prossima per una nazione che fu di immigrati in stragrande maggioranza provenienti dal Vecchio continente.

La figura del gaucho, «più un destino che un tipo etnico», del resto entrò in letteratura che era stata appena espulsa dalla storia. L'avevano uccisa le grandi concentrazioni terriere, togliendogli la libertà di movimento, la razionalizzazione degli allevamenti, limitandone l'utilizzo, l'industrializzazione dell'agricoltura, mettendolo in concorrenza con nuove realtà salariali. Allo stesso modo di Ricardo Güiraldes, l'autore di Don Segundo Sombra, libro che aveva come esergo «Al gaucho che porto in me, con devozione, come l'ostia nel suo ciborio», anche Borges faceva parte di quella buona borghesia argentina che mandava i figli a studiare in Europa, si compiaceva di un'antica origine continentale e della sua ora rinnovata frequentazione, viveva con fastidio crescente l'aspetto brutale connesso a una nazione in fieri, dagli spazi sterminati, primordiale negli appetiti, nelle rivendicazioni, nelle vendette. Era un'élite insomma che un po' si vergognava del suo passato.

Quando i suoi membri si resero conto che comunque provenivano anche da lì, «ho anche una goccia di sangue Guaranì», chiosa Borges, erano cioè impastati di sangue e suolo, di solitudine e di indipendenza, distanze e spazi sterminati, destrezza, cupezza e fierezza, era troppo tardi e la nostalgia è ciò che gli rimase in mano, acuta, irrimediabile, incurabile. Come riassume Borges, «il gaucho fu il primo argentino a penetrare nell'immaginario dell'umanità».

Proprio perché il gaucho, «per fortuna della nostra letteratura, non creò un dialetto», ma usò lo spagnolo corrente del suo tempo e proprio perché, poco incline alla religione, «la pampa è atea», la sua fede poteva racchiudersi in un «credo nel mio coraggio», la sua epica popolare sarà quella delle milonghe e dei tanghi, lì dove il

gaucho e il compadre si danno il cambio, lì dove «la vita non è altro/ che morte che si pavoneggia» , ovvero «la morte è vita vissuta/la vita è morte che viene» e infine: «La vita non è altro/che un bagliore della morte»...

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica