Le cinque regole di Cicerone per fare un discorso perfetto

Laura Suardi tiene lezioni molto seguite sulla retorica classica, che va bene perfino per chi parla solo in tv

Le cinque regole di Cicerone per fare un discorso perfetto

E dire che Cicerone era partito pure svantaggiato. Gracile, cagionevole di salute, non aveva davvero il phisique du rôle dell'oratore. Non aveva neppure il carisma che invidiava a Giulio Cesare: se non avesse scelto la guerra e il potere, sarebbe stato lui il più grande oratore di Roma, commentava amaramente Cicerone che invece non ci dorme la notte per preparare i suoi discorsi e imparare a declamare. Persino impacciato (secondo Plutarco), si fa aiutare da due attori esperti come il comico Roscio ed Esopo, specializzato invece nel repertorio tragico, per diventare il maestro dell'ars oratoria. Cicerone, però, non smetterà mai di perfezionare la pratica con la tecnica e viceversa. Fino a costruire un metodo, rigoroso, fatto di 5 passi, che raccoglie nel De oratore.

Laura Suardi, docente di latino e greco al liceo classico Parini di Milano, oltre che autrice di varie pubblicazioni sul mondo antico, lo ha ricostruito, unendo il mondo classico e quello contemporaneo per dimostrare come la retorica sia tutt'altro che morta. Il discorso perfetto. Parlare in pubblico con i classici (Laterza) è una sorta di manuale-viaggio nella retorica tra Aristotele, Cicerone, passando per Churchill, tornando a Pericle e Quintiliano per schizzare a Steve Jobs, Obama, senza dimenticare Lincoln o Martin Luther King.

Il discorso perfetto? Quello che convince chi ascolta. Era così fin dai tempi di Omero. È così oggi. «Stiamo assistendo - racconta Laura Suardi - a una vera e propria oralità di ritorno. In un'epoca dominata da video, Ted talk e Tik Tok, gli youtuber e i podcaster sono oratori digitali che trovano in rete un pubblico interessato a ascoltare i loro contenuti». Il saper parlare torna ad essere quasi una necessità, senz'altro un vantaggio competitivo. Lo dimostrano i tanti moderni guru d'oltreoceano che spacciano per nuove le ricette di un anglicizzato public speaking. Ma le regole sono sempre lì, in quei 5 passi di Cicerone e in quello che parecchie centinaia di anni prima aveva già messo bene a fuoco Aristotele: «Le emozioni sono i fattori in base ai quali gli uomini, mutando opinione, giudicano diversamente». Va bene l'ethos, cioè essere credibili (nel libro è dettagliato anche il come diventarlo) e il logos (gli argomenti), ma il pathos è così importante che Aristotele ne fa una casistica minuziosa, una sorta di prontuario delle emozioni e quali sono più facili da accendere. A partire dall'ira, guarda caso la più semplice da far scattare. «Aristotele - continua Laura Suardi - avrebbe giudicato perfetto il celebre discorso di Steve Jobs a Stanford nel 2005, in cui motiva gli studenti. Stay hungry. Stay foolish. Empatico, scaletta precisa, racconta 3 storie, ed è breve. Solo 15 minuti, saluti e applausi compresi». Nel discorso perfetto, d'improvvisato non c'è niente. Disciplina prima che talento. Churchill dirà di aver consacrato i suoi anni migliori a preparare «discorsi improvvisati». «Le occasioni in cui è importante saper comunicare le proprie idee e comunicarle bene sono aumentate», racconta Laura Suardi anche un po' sorpresa dall'interesse che trova nei ragazzi riguardo al suo libro. Dal 2016, Suardi proprio al liceo Parini tiene un corso di retorica super gettonato: «Ho maturato l'idea che sia la materia che manca nelle scuole italiane». Interrogazioni tante, ma raramente si insegna come parlare. Che cosa è convincente? Cosa spinge gli uomini a giudicare in un senso o in altro? Il libro non è scritto per gli studiosi ma ha un intento pratico. Ecco quindi 5 passi che percorriamo con Laura Suardi come Cicerone.

1. Inventio. Trovare gli argomenti e le idee migliori a sostegno della tesi. All'inventio Cicerone dedicò il suo primo scritto sulla retorica, un monologo quando non aveva ancora 20 anni, il De inventione appunto. Ci torna sopra in età più matura, a 50 anni, nel De oratore dove a trattare l'argomento mette Marco Antonio, uno degli oratori più apprezzati della generazione precedente. Si inizia dallo studio «a fondo di ogni dettaglio», scrive Suardi. È qui che si buttano i primi semi dell'ethos, della credibilità che renderà convincenti. È possibile individuare un ethos di sicura efficacia? si chiede Suardi che risponde con le parole di Aristotele: «Crediamo di più e prima alle persone corrette» in tutte le sue sfumature dell'epieikès greco. «In sintesi se a trasmettere il messaggio è una persona equilibrata, corretta e interessata al bene di chi ascolta». Dove si trovano le idee per argomentare? Nei «luoghi» di Aristotele che distingue i «propri» dai «comuni» (da scansare). «Oggi abbiamo risorse che nell'antichità non c'erano», spiega la prof che suggerisce in questa fase anche di utilizzare l'intelligenza artificiale. Ovviamente «verificando le fonti, e stando attenti alle allucinazioni».

2. Dispositio. Disporre le idee nell'ordine che funziona meglio: bisogna aprire e chiudere con idee forti. «Deboli non ne vogliamo, ma se proprio ci sono vanno sistemate al centro». Fondamentale la scaletta, «invenzione antica nata con la retorica» scrive Suardi. L'incipit è fondamentale. Poi, mai fare i «gladiatori sanniti», troppe lance (argomenti) lanciati. Piuttosto seguire l'ordine nestoriano, così come il re di Pilo disponeva i suoi uomini per i combattimento nella guerra di Troia: i soldati più validi all'inizio e nelle retrovie. Così le idee. Se non si hanno «a disposizione un numero sufficiente di argomenti forti, per Cicerone, si può riprendere gli argomenti della prima parte sotto altra forma».

3. Elocutio.

La parte più delicata: la scelta delle parole giuste. «La prima qualità è la chiarezza», scrive Suardi. Significa uso corretto dei connettivi «sobri», parole precise, lontane dal «terrore semantico» di Calvino, ma comprensibili. Usare le metafore. «Le metafore non sono una figura retorica per poeti ma gli effetti speciali del linguaggio», per Aristotele il «segno di un'intelligenza brillante». «Siamo venuti a Washington per incassare un assegno», esordisce nel discorso più famoso «I have a dream» Martin Luther King dove «i diritti si monetizzano e diventano più che visibili, tangibili e spendibili». Quindi, la sintassi che richiede ritmo, altrimenti «non può penetrare nel cuore» (Quintiliano, La formazione dell'oratore). Il periodo deve essere lungo tanto quanto il fiato riesce a reggere senza andare in debito di ossigeno (Cicerone). Con il 3 numero jolly, dal «Veni, vidi, vici» di Cesare, «a Tizio, Caio e Sempronio», efficace con una regola: ne decrescat oratio, avvisa Quintiliano, non vada a decrescere.

4. Memoria.

E qui casca l'asino, cioè l'homo contemporaneo. «Restiamo un po' indietro - dice Laura Suardi - Per Cicerone o Quintiliano è un dato di fatto che il discorso vada imparato a memoria». Nel libro ci sono anche i metodi che ritenevano efficaci, come quello dei loci, peraltro sempre validi. «Oggi meglio avere parole chiave, con immagini evocative: aiuta il pubblico a seguire senza smarrirsi e chi parla a non perdere il filo del discorso».

5. Actio. Ultima, ma la più importante per Cicerone: interpretare il discorso con la voce, le mani, lo sguardo, la postura. E le indispensabili pause. «Tutti i grandi oratori ne fanno un punto di forza», spiega Suardi citandone una in particolare. Quella di Ulisse nell'Iliade, che motiva i guerrieri da nove anni sotto le mura di Troia mentre corrono verso le navi per tornare a casa. Il suo discorso per convincerli a restare, inizia con una lunga pausa. «È come se raccogliesse idee e energie, ma quando inizia le parole fioccano, l'aedo usa proprio queste definizione». Per l'actio ci vuole allenamento. Come Demostene, anche lui di fiato corto, che si esercita a declamare correndo, parlando di fronte al mare in tempesta, o tenendo dei sassolini in bocca. Prova e riprova i gesti davanti allo specchio, come faranno anche Churchill e Obama.

Ma Demostene consapevole che il suo limite più grosso era l'agitarsi nel discorso, fa di più: «oltre a chiudersi in una specie di grotta con la testa rasata a metà per non avere la tentazione di uscire, provava i suoi discorsi davanti allo specchio tenendo una spada appesa al soffitto che cadeva sopra una spalla e lo pungeva quando si muoveva troppo».

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