Palazzo Reale, Doisneau il fotografo dell’amore

Barbara Silbe

Robert Doisneau vedeva l'amore sui marciapiedi. Lo intuiva in un passo di danza, tra le cassette del mercato, sulla lama di un barbiere. Robert Doisneau trovava amore nel quotidiano, come è naturale che sia. Bramava sentimenti come un affamato abbisogna del pane, e a chi lo accusava di guardare la realtà da un osservatorio ristretto, lui rispondeva così: «Quello che io cercavo di mostrare era un mondo dove mi sarei sentito bene, dove le persone sarebbero state gentili, dove avrei trovato la tenerezza che speravo di rivedere. Le mie foto erano come una prova che questo mondo può esistere». Un universo, il suo, che nessuno dimentica, dove l'amore è innanzitutto soggetto da fotografare nei sobborghi di Parigi, la sua città, e consegnare ai posteri in tanti frammenti in bianco e nero oggi radunati a Milano, in una mostra al sapore di nostalgia. Apre a Palazzo Reale, nell'ambito della seconda edizione di «Estate Fotografia», la retrospettiva dal titolo «Robert Doisneau. L'amore è...», in programma fino al 25 settembre: 119 bianchi e neri raccontano la carriera di un indagatore dell’ordinario attraverso scorci lontani dalle mode e dalla pubblicità.
L'artista «pescatore di immagini» è stato, con Cartier-Bresson, Lartigue e Brassai, testimone della «comédie humaine» degli anni ’30, ’40 e ’50, canzoniere dell'effimero, poeta da bistrot amico di scrittori e pittori, narratore lui stesso che dai colleghi si differenziò per la capacità di ritrarre quella certa passione parigina, la «joie de vivre» insieme spensierata e nostalgica che ritroviamo nelle poesie di Jacques Prévert o nelle canzoni di Edith Piaf. Orizzonti stretti per i suoi clic, che sembrano la continuazione di un sogno, una «vie en rose» privata, ma anche di tutti. Le scene sono quelle del quotidiano: negozianti sulla soglia, giornate di pioggia, mocciosi che giocano in strada, passanti osservati di nascosto, illuminati dalla luce naturale della quale l'artista cerca sempre la complicità, con una rapidità di immagine senza confronto, come se si trattasse di scattare senza chiedere il permesso. Il suo stile umanista segnò la storia della fotografia tanto che alcune sue opere sono parte della memoria collettiva. Antonio Tabucchi, che non ha mai celato la sua passione per Robert Doisneau, scrisse che «è un fotografo che i critici più severi hanno sempre giudicato con una certa sufficienza. È considerato amabile, se non pittoresco». La storia dell'arte ha trasformato i suoi stereotipi in icone che, come quelle canzonette che si intonano in certe giornate, entrano in testa per sempre. Il suo celebre «Bacio all'Hotel de Ville», clic del 1950 che ferma l'intimità tra due innamorati di fronte al Municipio della capitale francese, è una delle immagini più riprodotte al mondo. Di quello scatto si è detto e scritto tutto: che fosse in posa e non spontaneo come l'autore fece credere; che fosse stato «rubato» ai due piccioncini ignari, che fosse addirittura un falso.

Di recente Françoise Bornet, la protagonista femminile di quella storica inquadratura in possesso di una copia donatale dall’autore, ha deciso di venderla all'asta: un frammento della sua vita che le ha fruttato 185mila euro. Sarà perché poi quel fidanzato, tale Jacques, allora ventenne, prese un'altra strada.

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