Palco partenopeo di una strafottente Vladi

Nel 2002, appena compiuti gli 81 anni, Giuseppe Patroni Griffi accettò di dirigere il Teatro Eliseo di Roma. L'incarico avrebbe dovuto durare tre stagioni, ma si concluse in anticipo sulla scadenza: a settembre del 2005, durante le prove di «Improvvisamente l'estate scorsa» di Tennesse Williams, il drammaturgo e regista fu colto da un malore e morì qualche mese dopo. Il mondo dello spettacolo manifestò il suo profondo e immancabile cordoglio, ma si dimenticò in fretta di lui. Con la sua scrittura letteraria, le sue trame corpose e minuziosamente costruite, la sua predilezione per i personaggi sanguigni, per i sentimenti densi, palpabili, Patroni Griffi era molto lontano dall'essere trendy: era insomma del tutto estraneo alla narrazione frammentaria, all'ibernazione forzata degli stati d'animo e alla contemplazione ossessiva della quotidianità che sono tuttora in voga. In passato era stato comunque un autore che aveva anticipato i tempi, che aveva suscitato scandalo (quando lo scandalo era un gesto da temerari e non il mezzo più banale per fare carriera), narrando di figure autenticamente trasgressive, di individui con una visione del mondo sensuale e libertaria, privi di tabù sociali e inibizioni sessuali. «Persone naturali strafottenti», scritto e rappresentato per la prima volta nel 1974, è uno dei suoi testi più belli, che ha trovato una valida traduzione scenica al Franco Parenti (dove sarà in cartellone fino all’11 maggio, info: 02-59995206, www.teatrofrancoparenti.it) grazie alla sentita e accurata regia di Luciano Melchionna. La notte di Capodanno, nel microscopico appartamento di un vicolo napoletano in cui il trans Mariacallàs riceve i suoi clienti, si ritrovano quattro persone alla deriva. Byron, scrittore nero americano molto arrabbiato (siamo negli infuocati anni Settanta), e Fred, studente omosessuale che vive in modo pavido la sua identità, sono amanti. Attorno a loro si muovono Violante, la padrona di casa che un tempo ha fatto la cameriera in un bordello, e Mariacallàs, il travestito più colto della storia del teatro italiano, fine conoscitore delle teorie del «Gran Viennese», alias Sigmund Freud. In scena accade poco (e quel poco è decisamente traumatico) e si parla molto (in un linguaggio allo stesso tempo forbito e fuori dai denti): di segregazione razziale e sessuale, di camuffamenti reali e apparenti (tra Mariacallàs e Fred chi porta davvero una maschera?), ma soprattutto di solitudine e dignità individuale.

Le parole più significative le pronuncia Mariacallàs, interpretata da una dolente, ironica e ben calibrata Vladi Luxuria: è lei che, in un tono fra il comico e il tenero, ci comunica quel desiderio inappagato di intimità, quell'ostinazione a voler vivere nonostante tutto, quello sguardo malinconico e spericolato, cioè strafottente, che era proprio di Patroni Griffi.

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