D’accordo, non sono tanti quelli che ancora maledicono il dì di lutto in cui l’Austria asburgica perse la guerra, togliendo ai padani il gusto di bere uno spritz in Sankt-Markus platz o di cantare la Madunina intonando O meine schöne kleine Jungfrau. Non sono tanti quelli che d’istinto mostrano il passaporto appena scesi a Roma Termini, o quelli che quando leggono di ’ndrangheta credono di sfogliare la sezione Esteri. Lo dicono i flussi elettorali, il buonsenso, il successo del 150° dell’Unità d’Italia. Eppure siamo sicuri che un referendum che dia la possibilità di cancellare Garibaldi sarebbe un flop? Una croce e spariscono la monnezza di Napoli, il deficit pugliese e i «Cesaroni». Chiamala se vuoi tentazione.
Quante volte si è scritto che siamo un popolo fondato sui campanili, che i risultati elettorali a due cifre di un partito localista come la Lega sono preoccupanti, che l’inno lo sfoderiamo solo quando vince la Nazionale: vogliamo ritrattare tutto?
La realtà è che il malessere è un fiume carsico ed ogni volta che emerge ha tratti diversi, ma tutti irrazionali. Qualcuno pensava che un comico testimonial dello jogurt Yomo potesse portare migliaia di persone in piazza per mandare affanculo governo e Parlamento? No, ma è successo. È l’anti-politica e non è esclusiva della sinistra. È il disagio, la delusione, la claustrofobia dell’urna elettorale sempre più inospitale, anche al Nord. E allora siamo davvero sicuri che l’appartenenza ai partiti, bersagli del disgusto di tanta gente, basti a presagire il plebiscito al referendum? E se le percentuali fossero diverse?
D’accordo, non tutti i leghisti sono secessionisti, chiedere agli alpini veneti col Piave nel cuore e la penna sul cappello. Ma parallelamente non tutti i sinistrorsi sono patriottici. Di radical-fan di Pisapia pronti a definire «terronate» le borsette taroccate e a sbuffare contro la cameriera meridionale non troppo solerte è piena Milano. Di imprenditori veterosabaudi che di nome fanno Carlo Alberto, votano Pdl e non danno confidenza agli operai siciliani importati è pieno il Piemonte. Così come è pieno il Nord di meridionali emigrati, che si sono rimboccati le maniche e guardano con dispetto all’assistenzialismo che regna nelle Regioni d’origine.
Insomma, la secessione reale sarà pure un’utopia malata e una gara persa in partenza.
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