«Papà Ulrico Hoepli, l’editore che ha letto il futuro del libro»

Il figlio Ulrico Carlo narra vita e imprese del grande impreditore-libraio che ha fatto rinascere l’azienda di famiglia distrutta dalla guerra. Su un catalogo bruciacchiato costruì un impero. Andando in ufficio fino a 97 anni...

Luigi Mascheroni

Al primo approccio la dinastia degli Hoepli e relativo albero genealogico sembrano complicatissimi, visto che tutti i maschi, di primo o secondo nome, si chiamano Ulrico. In realtà le cose sono molto semplici: esiste un Ulrico, il fondatore, partito dal villaggio svizzero di Tuttwil e arrivato a Milano, nel 1870, per aprire una casa editrice, e che tutti in famiglia chiamano “il Grande Ulrico”; e un Ulrico che l’azienda l’ha ricostruita dopo le devastazioni della guerra, facendo rinascere la dinastia: questo “secondo” Ulrico, morto tre anni fa, era nato nel 1906: «In questi giorni avrebbe compiuto cento anni, mi diceva sempre che gli sarebbe piaciuto arrivarci...». Il figlio, Ulrico Carlo, quarta generazione Hoepli («Ma la quinta, ossia i miei tre figli, lavora al completo in casa editrice, ed è già pronta la sesta, sei nipoti in tutto») ha 71 anni, che per un Hoepli significa entrare adesso nella maturità, visto che bisnonno, nonno e padre hanno toccato rispettivamente gli 88, i 93 e i 97 anni («Lavorare con i libri è talmente bello che pur di non lasciare il mestiere si invecchia...»), e quando racconta la storia di famiglia sembra uno scrittore che narra la trama di un romanzo di avventura.
«Vede, di solito la generazione più difficile, quella a rischio di distruzione, è la terza. Nel caso degli Hoepli invece è stata la salvezza. Di tutti gli Hoepli, papà è stato quello che più ha avuto il senso dell’avvenire, la capacità di leggere il futuro del libro. Il credere che senza libri non c’è civiltà. Gli piaceva molto l’espressione inglese looking forward: guardare avanti». Quello che ha fatto: mentre la casa editrice e il magazzino della libreria andavano in fiamme, sotto i bombardamenti della seconda guerra mondiale («Li ha mai visti bruciare, i libri? Lo fanno lentamente...»), Ulrico Hoepli non ha guardato indietro, a quello che aveva perso, ma avanti: a quello che avrebbe guadagnato. «Cioè quello che abbiamo oggi».
E vedere avanti per uno che rischiava di rimanere cieco è solo una delle tante - apparenti - contraddizioni di Ulrico Hoepli: «A 8-9 anni ebbe una brutta malattia agli occhi, e i suoi genitori lo portarono in Valtellina perché, si diceva allora, guardare il verde aiuta a guarire...». Salvò gli occhi, che per un futuro editore sono il bene più prezioso, e li ficcò bene in faccia al suo futuro: Scuola Svizzera a Milano dove impara il tedesco («Aveva una memoria strepitosa, e negli ultimi anni recitava il Padre nostro nella versione degli anni Dieci, la stessa in cui mia sorella ha pregato il giorno dei funerali»), liceo al Berchet («Ma non il classico: scelse lo scientifico, papà fu sempre un “tecnico”»), poi la prestigiosa scuola di Commercio di Neuchatel («È lì che ha imparato a fare i bilanci, che è stata la grande fortuna dell’azienda») e infine la Bocconi: «E lì la fortuna è stata mia: dato che non riusciva a passare matematica, si trasferì a Scienze economiche a Bologna, dove si innamorò di una bellissima ragazza che suonava il piano. Mia mamma».
Sistemati gli affetti, rimanevano gli affari. Ulrico torna a Milano, si laurea e inizia a viaggiare: «“I viaggi rendono saggi”, diceva sempre. Aveva ragione, sono convinto che il lato umanistico della sua cultura gli provenga dall’aver girato il mondo più che dalle letture. Mai visto con in mano un libro, chessò, di Ungaretti, semmai letteratura di viaggio». Prima Lipsia, che all’epoca è la vera capitale dell’editoria, per capire i “trucchi” del mestiere; poi Argentina, dove lavora in banca per un anno e scopre un grande mercato per i libri in lingua italiana; infine negli Stati Uniti dove apprende i “segreti” dell’economia capitalista: «Ci andò poco prima della guerra, e capì subito la follia della Germania di scontrarsi con un Paese così forte e così tenace».
La stessa forza e la stessa tenacia che Ulrico Hoepli mette nel ricostruire la casa editrice dopo le distruzioni del ’43-’44. Prima si fa ospitare nei locali della libreria antiquaria Piantanida, in via Brera, fino alla fine del conflitto; poi a guerra conclusa ottiene - «incredibilmente, papà aveva una capacità di convincimento straordinaria» - un prestito di 50 milioni di lire dalla Cariplo: «Di solito i prestiti si ottengono sugli immobili, lui ci riuscì portando in banca il catalogo della casa editrice: “È bruciato tutto, ma noi abbiamo i diritti su questi titoli. Ripartiamo da qui”, disse».
Ripartì. Già alla fine del ’45 l’azienda si trasferisce in corso Matteotti e Ulrico insieme al fratello Giovanni ricuce con pazienza il catalogo tecnico e scientifico, ristampa i titoli più fortunati, pubblica le opere di Desio, Giedion, Nervi, avvia - nel ’55 - la grande Enciclopedia Hoepli. Fino al 1958, quando Ulrico compie il capolavoro: a coronamento del gigantesco lavoro di ricostruzione, inaugura la nuova sede nel centro della città, tra il Duomo e la Scala. Progettato dagli architetti Figini e Pollini, l’edificio situato nella via dedicata al fondatore - via Ulrico Hoepli 5 - ospita gli uffici della casa editrice e la libreria, su sei piani, che da allora a Milano vende più libri di ogni altra. «Oggi i piani per la vendita sono sei, ma all’epoca erano due. Poi c’erano gli uffici, e il nostro appartamento all’ultimo. A papà piaceva vivere sopra i libri...».
Ulrico Carlo con il padre iniziò a lavorare dalla metà dei Sessanta, e alla fine sono stati quasi quaranta gli anni passati gomito a gomito: «Che tipo era? Un Commander in Chief, uomo di polso, ottima oratoria, poliglotta, teutonico, severo. Che come spesso accade si è poi addolcito con gli anni, soprattutto durante i viaggi o comunque fuori dalla casa editrice. Papà amava la montagna, e capitava che mi portasse con lui a camminare. Ricordo una gita splendida sul Monte Crocione, di fronte a Bellagio, posto che amava perché è li che sfollammo durante la guerra... Noi due, in mezzo al silenzio.. è in quei momenti che un figlio ama di più il proprio padre. In azienda invece si deve discutere su progetti diversi, risolvere problemi... però sì, andavamo d’accordo io e papà. Sa, in fondo io non ho fatto che seguire le linee tracciate da lui e rispettare la sua la regola d’oro: “Innovare, ma rimanendo fedeli alla tradizione”».
Innovando, ma sempre fedele alla tradizione di famiglia, Ulrico Hoepli è “sceso” in ufficio a lavorare tutti i giorni, fino a 97 anni, fino al 9 ottobre del 2003, proprio la settimana della Fiera del libro di Francoforte.

«Io ero là. Mi hanno chiamato che stava male, ho preso il primo treno per Milano... sono arrivato un’ora troppo tardi, se n’era appena andato. Per fortuna però con lui c’era mio figlio». Un altro Hoepli, pronto per ripartire.

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