IL PAPA CHE FA IL PAPA

Alla festa per i trent'anni del Movimento per la Vita, il Papa attacca la pratica dell'aborto e la legge che l'ha resa accessibile in Italia. Qualcuno se l'è presa, come sempre. Siamo in uno Stato laico, possibile che il Papa non sappia ancora tenere distinte le due cose?
Già: sembra che i Papi non siano mai capaci di tenere distinte le due cose. Sembra che tra quella distinzione e l'essere Papa, cioè capo del popolo cristiano, ci sia un'incompatibilità.
Eppure la legge è buona, è una conquista, un passo avanti della società. E poi nessuno è obbligato ad abortire: se ha le sue convinzioni, padronissimo di tenersele.
Ma sembra che al Papa questi discorsi non interessino. Non solo quelli che riguardano la distinzione tra convinzioni personali e laicità dello Stato, ma anche quelli che riguardano le convinzioni personali in se stesse. Quello che noi diciamo di pensare, quello di cui ci diciamo persuasi. Quelle che chiamiamo le nostre idee, che di nostro hanno, di solito, assai poco.
Quello che interessa al Papa non è nemmeno il male minore. A lui interessa la cosa più scandalosa, più intollerabile (anche e soprattutto presso noi «tolleranti»), la prevaricazione più inaccettabile che esista. Gli interessa il bene dell'uomo, la salvezza dell'uomo.
Il bene, il nostro bene, una luce che ci illumini e ci riveli per quello che siamo e a cui siamo chiamati: ecco la cosa veramente insopportabile, politicamente scorretta, socialmente ripugnante, personalmente offensiva. Il resto può andare bene: i riti cattolici sono pieni di fascino, la musica e l'arte sacra sono sublimi, l'azione della Chiesa nei riguardi dei poveri e dei sofferenti è riconosciuta e apprezzata. Si può anche provare nostalgia della messa in latino.
Ma il nostro bene, quello no. Allora ci arrabbiamo, come se il Papa ci volesse obbligare a qualcosa. Ma se Dio non ha violato nemmeno la libertà di Hitler! Dio ci ama anche nell'istante in cui sgozziamo nostra madre: se questo ci è incomprensibile, possiamo però farne esperienza. In molti hanno fatto esperienza di questo, e di molto altro. Questa esperienza si chiama cristianesimo. E continua a essere insopportabile. E lo è quanto più capiamo che le sue parole sono vere: il prodotto dell'aborto e della cultura che lo ha affermato come valore è sotto gli occhi di tutti nelle sue conseguenze nefaste sulla famiglia, sull'educazione e sulla società, specialmente per quanto riguarda la tutela dei più deboli.
Che ne sarebbe di noi, quando più nessuna voce si alzasse a ricordarci che la nostra dignità non sta in quello che ciascuno crede di essere, ma in un compito? Non ci resterebbe che adattarci tristemente al peggio, al quale, come tutti sanno, non c'è limite.


Come ricorda Molière, per bocca di Sganarello, dopo la morte del libertino e moderno don Giovanni: «Cielo insultato, leggi violate, ragazze sedotte, famiglie disonorate, genitori oltraggiati, donne rovinate, mariti esasperati: insomma, tutti contenti».

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