
Le spese militari dividono il centrodestra e frammentano il centrosinistra, a conferma che sulla questione riarmo le sensibilità restano diverse e soprattutto frastagliate. Con una differenza. Dal lato della maggioranza, il fronte è diviso in due, con Fratelli d’Italia e Forza Italia che sono sempre state a favore dell’aumento delle spese per la difesa e la Lega che manifesta da tempo un forte scetticismo (in verità più a parole che nei fatti, visto che in Parlamento il Carroccio ha sempre votato tutti i pacchetti di armi destinati all’Ucraina). Dal fronte dell’opposizione, invece, siamo quasi alla divisione dell’atomo, con cinque posizioni diverse tra Pd, M5s, Italia Viva, Azione e Avs. Con il dettaglio che all’interno del Partito democratico le sensibilità sono notoriamente piuttosto distanti, con l’ala riformista dem che ha un approccio più atlantista e molto critico verso la segretaria Elly Schlein.
Ed è seguendo questo schema che oggi pomeriggio la Camera affronterà la questione dell’aumento delle spese militari al 5% del Pil, così come deciso nel vertice Nato che si è tenuto a L’Aia a fine giugno. E lo farà in ordine sparso, ma con un approccio tattico completamente opposto tra maggioranza e opposizione. La prima, infatti, non presenterà alcuna mozione, così da evitare qualsiasi possibilità di un cortocircuito tra Fdi e Fi da una parte e la Lega dall’altra. Una scelta concordata tra Giorgia Meloni (nella foto), Antonio Tajani e Matteo Salvini anche con l’obiettivo di lasciare i riflettori tutti puntati sul centrosinistra che ha invece annunciato cinque mozioni diverse.
Un discreto minestrone, che certo non restituisce l’immagine di una coalizione unita e compatta.
Il testo di Avs firmato da Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni chiede espressamente di «recedere» dall’accordo Nato sottoscritto da Meloni a L’Aia e più o meno dello stesso tenore è la mozione del M5s di Giuseppe Conte che invita a «scongiurare qualsiasi ipotesi di aumento della spesa in difesa e sicurezza in riferimento al raggiungimento dei nuovi target Nato». D’accordo sull’aumento degli investimenti militari è invece Azione di Carlo Calenda, che nella sua mozione chiede di «prevedere una tabella di marcia realistica per l’incremento della spesa per la difesa, vincolando tale aumento a un effettivo potenziamento della capacità operativa delle forze armate, con l’obiettivo di raggiungere il 2 per cento del Pil già dal 2025 e il 3,5 per cento entro il 2035». Un testo che è molto simile a quello presentato da Italia viva di Matteo Renzi che invita il governo a «definire un percorso graduale e sostenibile per l’incremento delle risorse destinate alla difesa».
Infine il Pd, che ancora ieri sera stava limando la sua mozione nel tentativo di tenere insieme sensibilità distanti e che questa mattina riunirà l’assemblea del gruppo della Camera per illustrare il testo definitivo. Che comunque ribadirà il «no» del principale partito d’opposizione all’obiettivo del 5% del Pil da destinare alle spese militari. Il tutto con una sorta di «lodo Sanchez», visto che la mozione inviterà il governo italiano a «intraprendere un percorso analogo a quello della Spagna», promuovendo un «dialogo all’interno dell’Alleanza che valorizzi il principio della condivisione equilibrata degli oneri». D’altra parte, non è certo la prima volta che il premier spagnolo viene preso da Schlein come un esempio, soprattutto sulle questioni legate alle spese Nato come al riarmo europeo.
Nessuna mozione dalla maggioranza e ben cinque diverse (quattro già depositate e una
ancora no) dall’opposizione. Che andranno tutte al setaccio dell’Aula oggi.E su nessuna delle quali, neanche in una sola parte, è immaginabile che possa convergere la Lega come invece era stato ventilato nei giorni scorsi.