Niente acconciature, messe in piega, permanenti, piastre, lacche e prodotti chimici. E soprattutto niente tinture. Da Dina Azzolini, conosciuta in tutta Milano come «la Dina», si eseguono soltanto tagli e «chi ha i capelli bianchi deve imparare ad accettarsi, perché bisogna tornare a pensare naturale». Parole che, certo, suonano strane sulla bocca di chi per anni ha messo e fatto di tutto sulle teste delle star. Pettinatrice di Mina, Consuelo Crespi, Anna Piaggi, delle sfilate di Versace e Missoni e delle modelle di fotografi del calibro di Helmut Newton e Gian Paolo Barbieri, la Dina oggi di quel patinato mondo della moda e dello spettacolo non vuole più sentirne parlare. E guai a ricordarle che è stata la parrucchiera delle dive: «Voglio essere apprezzata per quello che faccio, non per chi ho pettinato». Come darle torto, del resto: di cose ne ha fatte - e ne continua a fare - molte, sempre nel segno delloriginalità.
Emiliana di Mirandola, in provincia di Modena, classe 1939, Dina Azzolini inizia a lavorare all'età di dieci anni presso un parrucchiere di paese. Arriva a Milano diciassettenne, frequenta l'accademia e con l'aiuto del padre rileva il negozio del suo maestro in via della Spiga. «Nel 1970 lo trasformai in un drugstore, dove si vendevano anche libri e dischi - racconta - erano altri tempi e anche Milano era diversa». Nel 1978 si trasferisce per un periodo negli Stati Uniti per lavorare presso delle multinazionali del suo settore. Proprio in quellanno avviene la svolta che la porterà ad abbracciare la filosofia New Age del capello. Ad abbandonare tutto quello che non fosse stato naturale.
«Tutto è iniziato leggendo lindicazione "può essere nocivo", riportata sulle confezioni dei prodotti che usavo. Ho cominciato a considerare i capelli come la pelle: vulnerabili da ciò che è chimico. Ho quindi proibito le lacche, ma dal momento che i miei aiutanti, di nascosto, trasgredivano gli ordini, li ho licenziati tutti e ho avviato un'attività da sola, ricevendo un cliente alla volta». E naturalmente bandendo ogni colorazione. «Per dieci anni mi sono tinta rossa, atteggiandomi come tutte le donne che hanno questo colore: in maniera sofisticata ed eccentrica. Era una finzione terribile, non ero io».
Particolari questi, descritti insieme a tante altre curiosità, nel suo libro «Per amore dei capelli» (B.C. Dalai editore) che ripercorre la storia della sua vita e di una Milano (e di un'Italia) schiava dell'immagine e che ora, «dovrebbe cogliere l'occasione della crisi per ritrovare se stessa e cambiare abitudini».
Oggi Dina non esercita più nella modaiola e centrale via della Spiga, ma al primo piano di un edificio in via Kramer, che sembra più un tempio per la meditazione che un negozio di parrucchiere, con un'architettura ricercata, tinte calde e l'ambiente profumato da essenze. Esegue due tipi di taglio: quello «di forma», che consiste nell'accorciamento della capigliatura, su richiesta della cliente e quello «della salute», che l'ha resa celebre e che prevede l'eliminazione delle doppie punte, da eseguire ogni due mesi, dopo aver consultato il calendario della luna crescente. «Da me si viene dalle quattro alle sei volte all'anno - spiega - poi bisogna ritrovare a casa il gusto di lavare e curare i capelli e trasformare in un rito quella che è ormai diventata unincombenza noiosa».
Dina non consiglia mai i suoi clienti, che sono sia donne che uomini, di differenti età e ceti sociali, però dalla loro gestualità riesce a capire cosa vogliono. Impiega i prodotti della linea che ha firmato e che porta il suo nome e ha due sogni nel cassetto: «Fondare una scuola per professionisti del capello naturale e realizzare un oggetto per far ritrovare a tutti l'amore del lavaggio della testa a casa, sul quale però non vuole svelare nessun dettaglio».
Quanto ai clienti storici, quelli dell'epoca pre 1978, quando ancora usava tinte e lacche, ammette che gli uomini le sono stati «più fedeli delle donne, che sono invece ossessionate dall'idea di piacere e rinnegano l'imbiancamento».
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