Il partigiano attacca il premier E sul palco scoppia la bagarre

Il sindaco della Cdl si toglie la fascia e se ne va tra gli insulti. Prima, il prete aveva fatto ritirare le bandiere rosse

Non c’è ragione che tiene, il 25 aprile è roba loro. Della sinistra. Punto e basta. I buoni propositi alla prova dei fatti si sciolgono come neve al sole. Ieri l’apoteosi della faziosità e della strumentalizzazione si è materializzata durante la cerimonia che si è tenuta a Desio. Per attaccare Silvio Berlusconi e i partiti della Cdl, l’occasione era ghiotta. Lasciarsela sfuggire? Neanche per sogno.
Dunque, la giornata della concordia, della pacificazione sociale, che ha segnato la liberazione dall’occupazione nazifascista si è trasformata in una gazzarra. Il programma stabilito dal Comune in collaborazione con i dirigenti dell’Anpi locale prevede, prima di tutto, la celebrazione della messa al cimitero davanti alla cappella dei caduti per la libertà. Tutti i caduti. Primo incidente. Arriva il prevosto, monsignor Elio Burlon, la massima autorità ecclesiale della città natale di Pio XI. Il sacerdote, dentro il luogo sacro «non gradisce» le bandiere dei partiti: sono quelle rosse di Rifondazione Comunista, dei Democratici di Sinistra e della Cgil. Monsignore non ha dubbi: prima di iniziare il rito religioso esige che i simboli dei partiti escano dal cancello del camposanto. I compagni sono sorpresi, non se l’aspettavano: cacciare i loro vessilli, le bandiere della resistenza. Un affronto. Interviene il sindaco. I compagni mugugnano. In ogni caso abbandonano qualsiasi velleità. Attendono in strada. Termina la funzione e si predispone il corteo. La banda cittadina, non intona le note delle canzoni che piacciono un sacco ai comunisti: niente «O bella ciao», niente «Fischia il vento». I compagni mugugnano. Il corpo musicale Pio XI abbandona. Il corteo s’incammina, davanti si piazzano le bandiere rosse: il sindaco le spedisce in fondo. I compagni s’irritano. È il prologo della contestazione.
Nel parco pubblico di via Fratelli Cervi è allestito il palco per i discorsi. Prende la parola il sindaco Giampiero Mariani, quindi tocca a Franco Isman, rappresentante provinciale dell’Associazione Partigiani. Il comiziante parte da lontano, quindi spedito nell’invettiva arriva a dire quello che forse gli preme di più. Spara a zero sul governo Berlusconi, responsabile a suo parere, tra l’altro, d’aver «demolito» la costituzione. «In ogni caso con il referendum rimetteremo tutto in ordine. State tranquilli».
Gli assessori della maggioranza di centrodestra, che da oltre un anno amministra la città, abbandonano il palco. Franco Isman, non fa una piega. Anzi, rincara la dose. Troppo. Giampiero Mariani, si toglie la fascia. Lascia la cerimonia. È investito da una bordata di fischi. Qualcuno urla «vergognati». Qualche altro, immancabilmente lo raggiunge con un grido: «fascista». «L’esponente dell’Anpi ha tenuto un discorso strumentale, fazioso, intollerabile. Non fa parte del mio stile – chiarisce Mariani - ma non potevo certo ascoltare un comizio di parte».
«Abbiamo ascoltato un discorso politico e partitico.

Il 25 aprile – aggiunge Tiziano Garbo, capogruppo Udc – è una cerimonia unitaria aver insistito sulla questione referendaria è stato un clamoroso ma premeditato errore che divide il Paese e bene ha fatto il sindaco a dissociarsi». Critico con Franco Isman, anche Edoardo Geradini, presidente della locale sezione partigiani.

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