An, la partita decisiva si gioca nei collegi

Oggi riunione di Alleanza nazionale: occhi puntati sul presidente

Fabrizio de Feo

da Roma

L’accento sulla linea politica e sul percorso compiuto dal partito nell’arco degli ultimi dieci anni. Un saldo ancoraggio all’identità e ai valori che da sempre sorreggono An, valori che devono essere costantemente adeguati a una società complessa e in movimento. E infine l’apertura del delicato capitolo della riorganizzazione interna, con il rilancio della figura del coordinatore unico: un incarico che avrà connotati esclusivamente organizzativi. Il tutto seguito da un dibattito che si svolgerà alla luce del sole, con il leader pronto a mostrare il petto ma anche a discutere e a ribattere colpo su colpo alle critiche dei «colonnelli».
È questo il canovaccio che Gianfranco Fini seguirà all’assemblea nazionale di sabato e domenica prossimi. Con una certezza che, con il passare dei giorni, si va sempre più consolidando. Il presidente di An è indisponibile alla trattativa ed è pronto ad affrontare a viso aperto il voto, palese o segreto che sia, del parlamentino del partito. Il ragionamento di Fini sarà il seguente: «Questo è il mio documento: o vi sta bene oppure ne trarrò le conseguenze». Una strategia chiara quella del leader di An che chiederà di votare il suo documento «senza se e senza ma». A tutti gli effetti una richiesta di fiducia rivolta ai membri dell’assemblea, posti in maniera netta di fronte alle loro responsabilità.
La partita, d’altra parte, ha molte facce. E ce n’è una che emerge sottotraccia con sempre maggiore forza: quella dei collegi e delle candidature. «Fini certo non può delegare a una figura non di sua piena fiducia il compito di scegliere i candidati per le Politiche» spiega un fedelissimo del vicepremier. «I collegi sono uno degli obiettivi di questo dibattito perché è da lì che passano gli equilibri di potere futuri del partito. Ma su questo non si può scherzare a meno di un anno dal voto. È lui che deve stabilire i nomi di chi sarà in corsa. Fare le candidature in base alle pressioni correntizie sarebbe la rovina del partito».
È chiaro, quindi, che in questa chiave sarebbe determinante per Fini avere accanto a sé Altero Matteoli, uomo fidato che si è sempre occupato della scelta delle candidature oltre che della trattativa con gli alleati, Berlusconi in primis. Il presidente del partito è consapevole di questo pericolo. E anche per questo ribadirà a chiare lettere che la scelta del coordinatore è una sua nomina fiduciaria e si farà forte del diritto statutario che gli assicura la possibilità di percorrere in solitaria questa via. C’è un nodo, però, che resta ancora da sciogliere. Altero Matteoli non ha ancora concesso la propria disponibilità a lasciare il ministero dell’Ambiente. E lo stesso Fini non è entusiasta di far scattare un altro mini-rimpasto governativo. Come fare allora a superare lo scoglio dell’aut-aut posto da Destra Sociale e Destra Protagonista, unite nel sostenere che «gli incarichi di governo e di partito non devono coincidere»? La soluzione per Fini potrebbe essere quella della precisa puntualizzazione dell’incarico affidato a Matteoli. Una «recinzione» delle sue competenze che avrebbero un esclusivo carattere organizzativo.

Come dire che Matteoli riceverebbe una investitura «minore» e la guida politica del partito resterebbe saldamente nelle mani di Fini. Una via d’uscita e una medicina che, difficilmente, potrebbe essere sufficiente a sanare le ferite del partito.

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