Qualcuno era comunista. Altroché. Tanti erano comunisti, e qualcuno ancora lo è. È una storia grande e drammatica, quella del Partito comunista italiano, una storia di masse enormi ed enormi errori, che sta dentro la storia dItalia e le viaggia anche accanto, parallela. E dà ancora i suoi frutti. A 90 anni dalla sua fondazione (a 150 anni dalla nascita dellItalia) il partito che da 20 esatti non cè più (o forse cè ancora), viene celebrato alla Triennale Bovisa, con una mostra inaugurata oggi per restare aperta fino al 10 luglio. «Avanti popolo», si intitola, è stata inserita nelle celebrazioni per lUnità dItalia e organizzata dalla Fondazione Istituto Gramsci e dalla Fondazione Cespe. E giusto di un popolo si è trattato. «Un paese buono in un paese cattivo», diceva Pier Paolo Pasolini. Certamente un paese diverso, con le sue bandiere, la sua fede, i suoi miti, solo in parte coincidenti con quelli delle «altre italie». Un popolo che ha contribuito alla nascita della Repubblica mentre ne progettava il superamento, o labbattimento, in unambiguità mai risolta fra ladesione al gioco democratico e la fedeltà indiscussa alla potenza sovietica, prima ideologica e poi organizzativa.
Un popolo che può sfogliare oggi lennesimo album di famiglia. «Per la raccolta - dicono gli organizzatori - ci siamo serviti per la raccolta del materiale degli archivi dellIstituto Lisec e dellArchivio del Lavoro, entrambi a Sesto San Giovanni - afferma Borruso - La storia del partito a Milano è raccontata a stretto contatto con levoluzione della città, dellurbanistica e del capitalismo, attraverso anche personaggi come Giuseppe Alberganti, Francesco Scotti, Silvio Leonardi, Roberto Vitali Elio Quercioli, Novella Sansoni e Barbara Pollastrini e tutti gli intellettuali come Treccani vicini al Pci». Unaltra storia nella storia, quella del Pci milanese. Lallestimento, con i manifesti e vignette, gli slogan e le foto, è anche una speciale rassegna di grandi e clamorosi abbagli. Dal leninismo al no alla scelta occidentale del Dopoguerra - un rifiuto rimangiato 30 anni dopo - allo Stalinismo, al sostegno dei carri armati sovietici - su cui maturò la frattura con i compagni socialisti - alla battaglia contro la tv, passando per una serie di drammatici ritardi maturati proprio sul terreno di una sinistra moderna ed europea: dal welfare ai diritti civili ai temi dellambiente, tutte questioni sui cui il Pci fu addirittura ostile, o freddo, o recalcitrante, o nella migliore della ipotesi lento, al rimorchio di avanguardie politiche e sociali. Posizioni e scelte che si possono vedere e toccare alla Bovisa, e che segnano i passaggi storici rappresentati nelle sei diverse sezioni cronologiche della mostra: dal 1921 del congresso di Livorno al 1943, poi la Guerra e la Costituente, il Dopoguerra fino ai fatti dUngheria, dal 1956 alla Primavera di Praga; poi gli anni Settanta fino alla Bolognina e a Rimini, quando con le lacrime agli occhi («compagni cambia tutto») presero atto che un mondo era crollato, per aderire formalmente allInternazionale socialista, e ideologicamente a un «riformismo» tuttora vago e indefinito. Eppure per quel partito votava un italiano su quattro, uno su tre nei momenti di massima espansione elettorale. Il Pci arrivò al 34% nel 1976, e al 33% nel 1984, quando conquistò la fiducia di una grande fette dellItalia, anche borghese e cattolica. A Milano il Pci 35 anni fa arrivò a raccogliere il 26% dei consensi (con la Dc al 24%). Dieci anni dopo il 29%, con i democristiani al 23.
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