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Il Partito democratico è un flop annunciato

Il Partito democratico è un flop annunciato

da Roma

Nei palazzi della Roma eterna, il Partito democratico aleggia come uno spettro fra stelle e stalle, fra il 23% e il nonsoché, fra volte affrescate, paure demoscopiche e la neolingua «democratese», che tutto minimizza e annacqua.
Il premier minimizza. Dice Romano Prodi, dopo che sul Corriere della Sera Renato Mannheimer ha dedicato una lenzuolata al sorprendente fenomeno rilevato dalle indagini sulle intenzioni di voto, quello che porta i due elettorati di Ds e Margherita (31%) a sottrarsi, piuttosto che a sommarsi: «Io non mi stupisco dei sondaggi: in questo momento - spiega il premier - se anche guardo dall'esterno quello che sta avvenendo, è fisiologico e fatale per un periodo di contrattazione». Splendidamente camomilloso: conoscendo il Professore non ti aspetti nulla di diverso: periodo di contrattazione per meno 10% vince il premio eufemismo 2007.
Veltroni & Rutelli. E allora entri nel salotto buono di Palazzo Madama, la sala Zuccari - la più fastosamente affrescata del Senato, forse - per una serata che meglio di così non potrebbe annunciarsi: nell’ora della verità, a discutere della nuova creatura ci sono Walter Veltroni e Francesco Rutelli. E insieme a loro un direttore di quotidiano, Roberto Napoletano, e il senatore Antonio Polito, che sul tema ha scritto un libro brillante e provocatorio (Oltre il socialismo, Marsilio). Nel giorno in cui nei sondaggi la neonata creatura cola a picco - pensi - Rutelli e Veltroni potrebbero aprire uno squarcio di futuro, far assaporare un antipasto di leadership, l’anteprima di una battaglia di idee, magari convergere o dissentire su diversi progetti di partito. Ovviamente ti illudi, e a fine serata, quel che resta nel taccuino dei cronisti sconfortati è l’eterno minuetto di sintonie e frecciate, di due leader che affilano le zanne scambiandosi effusioni. Con piglio filologico proviamo a dimostrarvi come parlando straordinariamente bene l’uno dell’altro, i due si siano cordialmente manifestati reciproco dispetto.
Confronto ovattato. Ecco la cronaca tutta arbitraria di un confronto che non c’è stato. a) Rutelli come suo solito arriva con un quarto d’ora di ritardo, perché teme che altrimenti non lo si noti (Napoletano tocca la mezz’ora, e poi si mette a fare domande sul debito pubblico!). Veltroni invece se ne va mezz’ora prima e dice: «Scusatemi, devo andare in Campidoglio, sapete, io sono un fondamentalista della puntualità!» (tiè). b) Rutelli, con un giochino di parole, butta lì la sua lisciatina all’anima cattolica: «Questo deve essere un partito interamente laico in cui deve potersi ritrovare chi è cattolico intero». E poi (excusatio non petita... ): «Tacciare questo di clericalismo secondo me è sciocco» (ha fatto tutto da solo). Veltroni ribatte, con un altro giochino dialettico: «Le scritte contro Bagnasco suscitano in me preoccupazione. Ma nonostante questo continuo ad avere idee sulla laicità dello Stato». (Caspita, un botta-e-risposta). c) Rutelli fa notare che lui ha il curriculum ideale del leader: «Amministratore, segretario di partito, vicepremier, ministro dei Beni culturali», e dice, forse con malizia «anche Walter adesso, sta facendo lo stesso» (cioè quel che lui ha fatto dieci anni fa). Ma dev’essere un’impressione del cronista malizioso. d) Veltroni, butta lì, senza enfasi, che lui al Partito democratico lavora da 12 anni: «Dal 1995 a oggi io scrivo e penso che un partito così nasce per arrivare all’obiettivo del 40%» (Vero. Il 1995 è l’anno in cui ha scritto su l’Unità il suo celebre editoriale sulla necessità di «un moderno centrosinistra»). Ma Rutelli butta lì che in fondo lui c’è arrivato prima di tutti: «Bisogna rispondere alla crisi della politica, rendendo il Partito democratico affascinante per milioni di italiani, con nuove grandi sfide, la prima delle quali è stata quella del 1993» (Indovinate? È l’anno in cui è stato eletto sindaco). Rutelli ha il suo classico schemino in cui annuncia tre punti. Prima del secondo ti sei già addormentato (per la cronaca: 1) «Partecipazione» 2) «Modernizzazione» 3) «Ecologia & tecnologia»). Veltroni è più concreto e prospetta riforme elettorali, mission politiche, «crescita economica e coesione sociale». Poi spara il suo dato, come fosse un bruscolino: «A Roma in sei anni - cioè da quando non c’è più Rutelli ma lui, ndr - abbiamo spostato il 31% dei consensi».
Rutelli «albertosordeggia». Certo, gli stili sono diversi: Veltroni se parla di viaggi politici pare attraversato da visioni messianiche: «Ogni volta che si sgancia un ormeggio la nave balla. Ma è l’inizio del viaggio!». Mentre Rutelli (forse perché se n’è andato Walter) ha sempre quella incontenibile tentazione di albertosordeggiare: «Volete che vi parli delle prospettive? Che dite? Lo declino in kennedese o in napoletano?». La sala resta interdetta, e anche lui si getta in una metafora nautica: «In napoletano è così: “Se l’acqua è poca, la papera non galleggia”... » (però). Invece in kennedese... (niente paura, l’ha letto nel libro di Polito): «Come diceva Jfk: “Quando sale la marea tutte le barche navigano”». Non ride nessuno, ovviamente, ma quando inizia a fare lo spiritoso Rutelli dà il meglio di se. Improvvisamente diventa tutto serio, accigliato, e dice: «Oh, so’ tutto ’nfossato... Vorrei che i senatori presenti firmassero una petizione per cambiare le sedie di questa sala. Questo sì che sarebbe un provvedimento riformista, modernizzatore, e autenticamente democratico!» (è la frase in cui mette più passione). Esci dalla sala Zuccari e pensi: per loro fortuna gli elettori sondati da Mannehimer non sentiranno mai questa battuta.

Ma dopotutto è come se l’avessero fatto.

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