Roma L’annuncio dello sciopero generale, qualche fischio a Epifani, Cisl e Uil sbeffeggiate, un Pd spaccato. La manifestazione dei metalmeccanici della Fiom di ieri si è conclusa senza tafferugli, con una presenza importante, anche se gli organizzatori non danno numeri (e nemmeno la questura) e con un servizio d’ordine interno rigoroso. Ma la piazza rossa degli operai ha aggravato i dilemmi del partito democratico, ha mostrato un linguaggio spesso esagerato nei confronti dei leader sindacali, in particolare di Raffaele Bonanni, e si pone come punto di sofferenza per le ambizioni del Pd di creare un «pacifico» governo tecnico, o di transizione. Per un partito democratico composto da laici ma anche da cattolici, ex margheritini, le violenze verbali contro il leader della Cisl sono difficili da giustificare. Bonanni paragonato nei manifesti a Stalin, chiamato «marcio», quanto «un uovo». Bonanni e Angeletti «servi». E poi i classici cori: «Chi non salta della Cisl è, è». L’odio è proclamato a fine giornata, nel Pd lacerato, si alzano le proteste: sono «vergognosi» i cartelli «contro Angeletti ed Epifani», inveisce Sergio D’Antoni, ex leader della Cisl. «È un peccato che in una grande manifestazione popolare e di lavoratori - dice anche il deputato democratico Giorgio Merlo, vicepresidente della vigilanza Rai - abbiano trovato spazio insulti, contestazioni grossolane e attacchi gratuiti alla Cisl e al suo segretario generale Bonanni». «Troppi attacchi gratuiti alla Cisl», protesta anche un altro esponente del Pd, Enrico Farinone.
Bersani e D’Alema continuano a fare i fantasmi quando c’è da scendere in strada. C’era invece Ignazio Marino, che va ripetendo, come faceva anche durante la manifestazione del popolo viola di due settimane fa: «Perché il Pd non è qui?». C’era il responsabile economia del partito, Stefano Fassina. Presente a San Giovanni anche l’ex ministro del Lavoro Cesare Damiano, stupito da certe assenze: «Non capisco queste contrapposizioni». Ma i vertici non si sono visti.
E dunque i leader politici, i dominatori della piazza rossa, ieri sono stati Nichi Vendola e Antonio Di Pietro. Come era successo per il corteo del popolo viola di due settimane fa. Ancora più che per i viola, ieri il movimento è stato cavalcato dall’Idv, e che al grido «sciopero sciopero!» a San Giovanni ha proclamato con il segretario Fiom Maurizio Landini lo sciopero generale: «Abbiamo il dovere di continuare questa battaglia!».
Epifani avrebbe forse desiderato qualche fischio in meno nel giorno del grande commiato dal palco di piazza San Giovanni: «È un grande onore per me chiudere il mio mandato in questa piazza», ha chiuso il suo discorso, nel quale ha pronunciato, a ruota della Fiom, l’intenzione dello «sciopero generale», anche se «non unica arma». Ad ascoltarlo le tute blu della Fiat (aprivano il corteo i metalmeccanici di Pomigliano) studenti e autonomi dei centri sociali. Il percorso è stato deviato per evitare il passaggio sotto la sede della Cisl di via Cavour.
Di Pietro, Vendola e Landini: sono loro i nomi che fanno paura alla sinistra. Ma che non riescono a raccogliere quel «milione di partecipanti» che Giorgio Cremaschi, della segreteria della Fiom, calcolava a fine manifestazione come cifra possibile. Difficile pure che i manifestanti fossero quei 500mila che l’Unità aveva auspicato come soglia minima, numero della vittoria, per definirlo un corteo riuscito. Ma al di là dei numeri, più che una vittoria questa sembra una sconfitta per il Pd, incapace di scendere in piazza, di metterci la faccia, e diviso sul linguaggio di questi movimenti ormai adottati da di Pietro.
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