PATRUNO, il sacerdote del jazz «ortodosso»

In scena questa sera a Lenno, il chitarrista di Crotone proporrà un concerto vecchia maniera. E si confessa: «Suonare è la cosa più importante della mia vita»

Marco Guidi

Lino Patruno ama il passato e diffida del presente. Non è però un nostalgico, piuttosto un uomo con una sensibilità d’altri tempi. A rivelarlo non sono solo le sue parole, quanto la sua musica, jazz sempre rigorosamente old style. Il concerto di stasera a Lenno, all’interno del festival Lago di Como 2006, si annuncia così come un tuffo indietro nel tempo.
Cosa ha in serbo per il pubblico di Lenno?
«Un’esibizione in puro stile New Orleans anni Venti. La città che diede i natali al jazz, soprattutto grazie a noi italiani».
Grazie a noi italiani?
«Certo. Il primo disco jazz lo fece Nick La Rocca, figlio di un siciliano immigrato negli States, nel 1917. Il jazz, quello vecchia scuola, è italoamericano e non è nato nei ghetti neri come tutti credono. Trova le sue origini nelle antiche bande musicali di paese».
E del jazz di oggi che ne pensa?
«Non mi piace. Mi annoia, l’old style era tutta un’altra cosa. Io stesso mi definisco un sacerdote ortodosso del jazz, perché ne divulgo la storia, cercando di mantenere l’autenticità dei padri di questa musica. Come faccio anche in televisione, con “Jazz me blues”, il mio programma in onda su Rai doc-futura».
Le piace la televisione?
«Trovo che la tv sia vomitevole. Ci vado solo per amore del jazz, e per cercare di diffondere questa musica meravigliosa. Per il resto mi disgusta. L’accendo solo per il telegiornale».
Il teatro?
«Vado matto per il teatro. Ci ho lavorato per tanti anni e ho anche scritto diverse sceneggiature. Forse ci torno fra poco, c’è un progetto in cantiere al teatro Argentina di Roma...».
Di che si tratta?
«È uno spettacolo sulla storia di Roma, con strimpellate jazz qua e là. Credo sia di Durrenmatt. Però non ho ancora deciso se prendervi parte».
È stato attore e ora è membro della giuria del David di Donatello. Il cinema la emoziona sempre?
«Quello italiano di oggi proprio no. Sono rari i film degni del nostro passato cinematografico. L’ultimo che ho apprezzato è “Romanzo Criminale” di Michele Placido. Mi ha ricordato “Scene di strada”, di Martin Scorsese. Un vero capolavoro».
Cinema, teatro, tv. Oltre alla musica. È un vero eclettico...
«Suonare il jazz è la cosa più importante della mia vita. Le altre cose le ho fatte per hobby, perché mi divertivano. Comunque penso che le arti in fondo si tocchino e che non conviene farsi relegare in un solo ambito».
3 febbraio 2006. Muore Romano Mussolini, suo amico e collega. Cosa le manca di più del figlio del Duce?
«La sua simpatia. Eravamo lontani politicamente, ma ci univano la musica e una grande amicizia. Contano più le persone che le loro idee».
Cosa le disse Romano quando la vide recitare in «Mussolini, ultimo atto»?
«Io ho avuto un piccolo ruolo, perció non mi disse nulla. Romano e la sua famiglia, comunque, odiavano i film sulla vita di Benito. Una volta andai a pranzo con lui ed Edda Ciano, a Forlì. Parlavamo del Duce e di cinema. A un certo punto Edda si infuriò e gridò: “I film su mio padre sono pieni di fandonie, di falsità. Io denuncio tutti”. Sa, portare quel cognome sarebbe stato difficile per chiunque».
La sua carriera iniziò all’ombra della Madonnina. Non le manca Milano?
«Ho una grande nostalgia di Milano.

Ogni tanto, nella mia casa di Roma, penso a quella canzone di Giovanni Danzi, “Nostalgia de Milan”, e mi intristisco un po’. Mi mancano gli amici, l’educazione e la grande civiltà dei milanesi».
Festival del Lago di Como 2006, Lenno, ore 20.45, ingresso gratuito, info 031/269712.

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