PAUL KLEE «Fantastico» dalla grafica ai notturni

Il «teatro magico» della sua arte in mostra con un centinaio di opere

Per uno come Paul Klee che classificava ordinatamente la sua produzione, che titolava addirittura le sue tavole e anche gli schizzi e che dedicava del tempo alla meditazione con la penna in mano, non solo con i pennelli, ogni foglio disegnato era come la pagina di un libro: apriva orizzonti infiniti. Ecco, la visita alla bella mostra che ora la Fondazione Mazzotta gli dedica è come un viaggio tra questi orizzonti, nella consapevolezza degli infiniti rimandi (alla musica, alla letteratura, alla grafica, alla satira, al teatro, alla poesia) che si irraggiano dall'opera dell'artista svizzero. Torna a Milano Paul Klee, gigante dell'astrattismo europeo - tanto da non poter essere limitato a questa sola etichetta - e vi torna dopo più di venti anni dall'ultima mostra ospitata a Palazzo Reale. «Paul Klee. Teatro magico», fortemente voluta da Gabriele Mazzotta che, oltre a quello del Consolato Svizzero, è riuscito a ottenere il sostegno del Comune, della Provincia e della Regione, è curata da Tulliola Sparagni e ha l'intelligenza di non proporre un percorso pedissequamente biografico, ma di fornire al visitatore qualche chiave per accedere alle tante porte che l'arte di Klee dischiude. Si spiega così l'inizio, forse la parte più interessante della mostra, dedicato all'arte grafica dove compaiono, di volta in volta, opere di artisti con cui Klee volle o dovette confrontarsi: è il caso di Goya, delle vedute accurate di Piranesi, senza dimenticare il satirico Honoré Daumier, che non lesinava critiche alla borghesia francese dell'Ottocento. Lavori di epoche antecedenti, certo, ma di cui Klee dimostra di aver imparato la lezione. Poi c'è il dialogo con i contemporanei, come Klinger o il più amato Alfred Kubin. I confronti continuano anche nelle altre sezioni, sfruttando la ricca collezione della Fondazione Mazzotta che, con una spiccata prediliezione per l'arte fantastica, permette di accostare un centinaio di opere di Klee (tra cui «Bambolina», in mostra solo da lunedì per motivi burocratici) ad una cinquantina di lavori dei protagonisti di questa forma d'arte. L'immaginario teatrale, con i suoi figurini, i fantasmi, i clown, ma anche con i suoi demoni, è la cifra stilistica di questo artista che scoprirà solo in seguito il colore e che si dirà convinto che le sue creature vivono in una sorta di territorio di mezzo, di «inframondo fantastico». L'universo di Klee, il suo magico teatro dell'arte, è fatto di figure a metà tra la realtà e l'astrazione, tra il rigore geometrico e il gioco calligrafico, a metà tra l'ironia e un dirompente romanticismo e il visitatore non può che rimanere incantato in questo palcoscenico originale per forme e per colori. Senza indugiare sulle opere che più si conoscono, la mostra ha il merito di restituirci la complessità di un artista che ha attraversato l'esperienza del Cavaliere Azzurro e del Bauhaus e ha attecchito su un filone tra i più raffinati della storia dell'arte: quello del fantastico. L'idea è piaciuta alla Provincia (entusiasta l'assessore alla Cultura Daniela Benelli, che all'inaugurazione ha ricordato l'importante ruolo svolto dalle fondazioni private a Milano) e anche al Comune che, per la prima volta, ha sostenuto la Fondazione: la mano stesa di Vittorio Sgarbi a Gabriele Mazzotta non si ferma qui, considerato che a marzo saranno entrambi impegnati nella mostra su Kandinsky a Palazzo Reale.
A testimonianza della complessità di Paul Klee, resta l'epilogo dell'esposizione: i notturni.

Qui l'anima dell'artista emerge nel luogo fantastico per eccellenza: la notte con le sue atmosfere, i suoi spiritelli, le sue lune. Si avvicina il 1940, l'anno della morte. Klee è fuggito da una Germania in guerra ed è malato: sulla tela comincia a proiettare delle ombre, queste sì drammaticamente reali.

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