Una paura inventata diventa thriller

Con un morto nell’ascensore comincia l’intrigo che seminerà nel mondo l’ingiusto sospetto verso il nucleare. Non è tanto il cadavere a essere importante - si appura subito che è una mummia di scena - quanto l’ascensore: è quello supersorvegliato del presidente della Nrc, cuore del nucleare Usa. Segno che gli antinuclearisti hanno agganci in alto loco. Incaricato dal Fbi, Tony Litta, detective italo-americano, cercherà di vederci chiaro.
Tra realtà e verosimiglianza, in 400 pagine Sindrome nucleare (Edizioni Associate, euro 18) immagina il retroscena dell’incidente alla centrale di Three Mile Island (Harrisburg, Pennsylvania) del 1979. Inezia che, ingigantita dalla propaganda, è all’origine della diffidenza occidentale per l’atomo.
L’autore, Luigi Lerro, è abile nel creare suspence. Soprattutto, sa quel che dice. Giornalista e manager, è stato collaboratore di Felice Ippolito, l’uomo che portò l’Italia al terzo posto tra le potenze atomiche mondiali.
Litta, protagonista di fantasia tra comprimari che celano personaggi reali, è costretto a fare lo slalom tra nemici feroci. Alla fine, morirà. Non prima però di avere scoperto che gli antinuclearisti sono in possesso di un rapporto segreto che anticipa il guasto di Three Mile Island. Previsione che utilizzano come un copione per favorire l’avaria. Al centro, la Hollywood contraria all’atomo. Con un preciso riferimento a The China Syndrome di James Bridges, con Jack Lemmon, Jane Fonda e Michael Douglas, catastrofico in salsa atomica. Il film esce il 16 marzo 1979. Il 28 marzo c’è l’incidente di Harrisburg. Una coincidenza raggelante.
Lerro lega l’antinuclearismo con gli interessi dei petrolieri.

Una lotta senza regole. In Italia travolge Ippolito. In Iran favorisce l’ascesa, per mano Usa, dell’ayatollah Khomeini contro lo Scià che voleva, prima di Ahmadinejad, sviluppare il nucleare. Una lettura da cui si esce disincantati.

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