RomaPer il Pd è il giorno in cui si può finalmente cantare vittoria, e Pier Luigi Bersani si affaccia a sera alla tribuna del Tg3 per annunciare alle masse il «passo avanti importantissimo» fatto dal governo sullarticolo 18.
La soddisfazione del segretario è comprensibile, visto che è riuscito a tenere unito tutto il partito sulla propria linea e ad ottenere dal premier Monti un segnale di apertura alle richieste del Pd, neutralizzando alla fine i niet della Cgil che minacciavano di lacerare i democrat. Tanto che Bersani si permette di dettare lui la linea alla Camusso, una volta tanto: «Voglio credere che dovrà registrare il cambiamento e il passo avanti». Anche se, come confidano due eminenze grigie del Pd sui temi economici, Pierpaolo Baretta e Rolando Nannicini, «a noi conviene di più se la Cgil continua ancora un po a nicchiare e a dire che il compromesso non le piace», proprio perché così si dimostra che «il Pd la pensa con la sua testa», come rivendica Bersani, e non è rimorchio del sindacato.
Il doppio ruolo di partito di lotta e di governo continua però a causare qualche confusione nelle file Pd, come si è visto ieri nellaula di Montecitorio, durante il dibattito sul dl semplificazioni. Il governo infatti aveva dato parere negativo ad un ordine del giorno leghista che lo impegnava a «non toccare le tutele dellarticolo 18», e il Pd aveva seguito lindicazione di maggioranza invitando i suoi a votare contro. Poi in extremis il capogruppo Dario Franceschini si è reso conto della delicatezza della materia (anche se gli ordini del giorno sono come è noto semplici esortazioni) e ha invertito in corsa lindicazione di voto: astensione.
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