Pd, lite per Fini: scontro D’Alema-Franceschini

L’ex premier apre al transfuga in chiave anti-berlusconiana, Bersani vuole approfittarne: "Prendiamo in mano la situazione". L’ex segretario gelido: "È di destra, rimane un avversario". L'Udc frena

Pd, lite per Fini: scontro D’Alema-Franceschini

Roma - Nessun «tifo» per Gianfranco Fini, giura Pierluigi Bersani: «Noi non apriamo banchetti politicistici con nessuno».
Ma proprio mentre il segretario del Pd sperava che lo scontro furibondo nel campo del Pdl spegnesse i riflettori su quello in casa sua, alla vigilia della difficile direzione al Nazareno, ecco che ai vertici del partito si apre una nuova polemica. Protagonisti l’ex premier Massimo D’Alema e il capogruppo Dario Franceschini, leader della minoranza interna. Oggetto del contendere: il tifo per Fini, appunto.
Lo scontro tra il presidente della Camera e il premier ha riacceso, in una parte dell’opposizione, la speranza che per il Pd si possano riaprire spazi di manovra politica («tatticismi», li bolla il capogruppo) per fare quel che con le urne non si riesce a fare: isolare Berlusconi, rompere la sua maggioranza e fermare i suoi disegni di riforma «plebiscitaria». Al convegno organizzato dalla corrente «Liberal» del Pd, in quel di Valmontone, D’Alema spiega di vedere nella crisi interna al Pdl una manifestazione della «crisi sistemica del bipolarismo», e teorizza che il Pd deve avere il coraggio di «aprire una nuova fase» e di fare sponda con chi «si sente prigioniero» di Berlusconi (fa i nomi di Fini e di Casini) per avviare una «fase costituente democratica». A Franceschini, l’idea di «rompere la gabbia del bipolarismo», come teorizza D’Alema, appare praticamente una bestemmia: «L’alternanza di governo va difesa - replica a muso duro - non è una cosa solo italiana, ma un sistema su cui tutte le democrazie si stanno assestando, lo abbiamo costruito con fatica in questi quindici anni e non va messo in discussione». Quanto a Fini, «è e resta un leader della destra, quindi un avversario, anche se rompesse con Berlusconi».
Anche il caso Fini, tutto interno al Pdl, finisce per riaprire nel Pd le antiche diatribe tra supporter del partito «a vocazione maggioritaria» e fan del proporzionale alla tedesca e dell’alleanza coi centristi.
E dire che Bersani lo aveva visto come una boccata di ossigeno. Per una fortunata coincidenza, lo scontro tra premier e presidente della Camera è esploso alla vigilia di una direzione - la prima dopo il «deludente» (ammette il segretario) risultato elettorale delle Regionali - in cui la discussione rischiava di essere molto aspra. Ora, come prevede l’ex ministro Paolo Gentiloni, esponente di punta della minoranza interna, «il clima sarà inevitabilmente meno acceso: sarebbe autolesionista arrivare ad una resa dei conti tra noi proprio mentre è in corso quella nella maggioranza».

Bersani ne approfitta per cercare di derubricare la batosta elettorale subita dal centrosinistra, e spiega: «Il centrodestra è in crisi e ha fallito: quello che sta accadendo dimostra che non è vero che hanno vinto le elezioni, altrimenti non sarebbero in queste condizioni». Ammette che il Pd «non è ancora un’alternativa credibile», ma incita i suoi a «prendere in mano la situazione, partendo dai problemi del Paese». Un invito alla fronda interna affinché la smetta di sparare sul quartier generale (ossia lui) e si ricompatti sulla politica. E lancia un appello «a tutte le forze che non accettano la deriva plebiscitaria e populista per una convergenza repubblicana». La minoranza annusa una convergenza con le tesi dalemiane e le tentazioni di «inciucio» con pezzi del centrodestra, e si prepara a rintuzzare oggi. «L’alleanza di tutte le forze democratiche si farà se ci fosse un’emergenza», dice Franceschini. «Non ti sei accorto che c’è già», gli ribatte D’Alema.

Il dalemiano Nicola Latorre getta acqua sul fuoco: «Il film sul fare le riforme contro Berlusconi alleandosi con Fini lo abbiamo già visto ai tempi della Bicamerale, e si sa come è andata a finire».

Ma la speranza che proprio sulle riforme Fini si metta di traverso e «il centrodestra vada a sbattere» non la nega.

L’Udc sta a guardare, con più scetticismo, quel che accade nel Pdl: «Non mi pare aria da 25 aprile, francamente», ironizza Enzo Carra.

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