Il Pd si arrende nel Lazio: tocca alla Bonino

Il presidente della Provincia di Roma, Zingaretti conclude l'incarico di osservatore: "Senza un altro nome forte sosteniamo lei". La Binetti non ci sta: "Se è così, lascio il partito". E pensare che una volta erano Iottti, Fanfani e Spadolini a fare gli "esploratori"

Il Pd si arrende nel Lazio: tocca alla Bonino

Milano - Ci ha messo meno di ventiquattr’ore, Nicola Zingaretti, a indagare sulle prospettive del Pd nel Lazio. Nemmeno suo fratello, il commissario Montalbano televisivo, avrebbe risolto il caso più rapidamente. Per le Regionali, «due sono le ipotesi - ha spiegato il presidente della Provincia di Roma, incaricato di sondare le anime del partito -: o l’individuazione di una candidatura forte e autorevole di livello nazionale, o il sostegno alla candidatura di Emma Bonino». Missione conclusa, si rientra alla base. Dove però ci sono più serpenti che fuori. Nemmeno il tempo di concludere l’esplorazione e arriva la replica di Paola Binetti: «Se il Pd sostiene la Bonino, noi cattolici ce ne andiamo». Altro che esploratore, qui serve un esorcista.

D’altronde si era capito subito che l’incarico affidato a Zingaretti sarebbe finito in un farsa. Addio ai grandi esploratori, la sinistra passa alle Giovani Marmotte. A intraprendere questo sentiero - a metà strada tra il naïf e il ridicolo - è stato proprio il Partito democratico, che nel Lazio ha messo la definitiva pietra tombale sulla figura dell’esploratore politico. Già, perché il ruolo di mediatore e diplomatico che fu di Fanfani, Spadolini e Iotti, è stato affidato a Zingaretti non per salvare il Paese vittima di una crisi di governo, ma per salvare il partito vittima di una crisi di identità.

D’altronde il Pd nel Lazio è disperso tra afflati veltroniani, ansie radicali, solitudini centriste. Ormai privo di bussola dopo l’inversione a U di Marrazzo, non ha trovato di meglio da fare che incoronare «esploratore» Zingaretti, «per accertare le condizioni politico-programmatiche e trovare le candidature più idonee». Tradotto: gli ha rifilato la patata bollente all’urlo di «provaci tu a mettere d’accordo ’ste comari su un nome».

Sarà. Ma l’esploratore una volta non era un giudice di pace alle prese con beghe di quartiere. È stata la sinistra a spogliarlo del suo significato, lasciandolo nudo e pronto per essere rosolato a fuoco lento. Per esempio, pure Francesco Boccia ha avuto in Puglia «mandato esplorativo». Deve catalogare le etnie che laggiù, tra vendoliani ed «emiliani», si scannano tipo Hutu e Tutsi. Poi, se gli resta il tempo, può pure instaurare un suo regno, come Kurtz di Apocalypse now. Chiamatelo mandato esplorativo, ma quello affidato al deputato pugliese somiglia a una candidatura. Invece Zingaretti in queste ultime ore sembrava più che altro un amministratore di condominio.

Eppure in principio era il sostantivo: esploratore. L’ultimo, nel 2008, fu Franco Marini, che da presidente del Senato si trovò investito da Napolitano del compito di creare un governo in grado di colmare il vuoto di Prodi e di inventarsi una legge elettorale. Fallì, ma almeno era questione di Stato e a sceglierlo fu il Colle, non una segreteria regionale. Il primo, invece, fu Cesare Merzagora nel ’57. Poi, nel corso della storia repubblicana, sulle sue orme si sono avvicendati in questo ruolo - un po’ di eminenza grigia e un po’ di funambolo - alcuni tra i maggiori protagonisti della politica. Tutti a «esplorare le intenzioni dei partiti», tutti a cercare di salvare il salvabile: da Amintore Fanfani (che per due volte è riuscito a «scoprire» una nuova maggioranza), a Giovanni Spadolini, investito senza successo da Cossiga nell’89. E ancora Giovanni Spagnolli nel ’74, Tommaso Morlino nell’83, Saragat, Andreotti, La Malfa, fino al 1987, quando a comandare le scialuppe al salvataggio del governo furono nell’ordine Nilde Iotti, Oscar Luigi Scalfaro, Alessandro Natta e il solito Fanfani: una presidente della Camera, un ministro e futuro capo dello Stato, un segretario del Pci e un presidente del Consiglio per sei volte. Mica dei presidenti di Provincia boy scout.

Ma il problema è generale. Il mandato è diventato modo di dire. E dato che il Pd avrà perso il contatto con la gente, ma non con le mode, subito ci si è tuffato. «Mandati esplorativi» si sono avuti per il ministro austriaco Faymann al momento di scegliere Mr. Pesc tra D’Alema e Miliband (silurati entrambi), per il prefetto di Genova sugli affari del porto, per Ricky Levi che - sempre nel centrosinistra - nel 2006 cercava «una personalità in grado di raccogliere consensi per l’elezione al Quirinale».

Ma anche per l’amministratore del Rieti Basket, per l’agente di Claudio Bisio che doveva farlo finire ad Affari tuoi, per la nomina di Nanni Moretti a direttore del Torino Film Festival. Uno sciame di esploratori, dalla A alla Z: Amundsen, Da Gama, Lindbergh, Magellano, Vespucci, Zingaretti. Meno male che a Montecitorio il Pd schiera pure gli onorevoli Zucchi e Zunino: a quando un mandato pure a loro?

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