Penati e la moratoria Una svolta storica che imbarazza Roma

In Francia, la paura del fantomatico «idraulico polacco» che si apprestava a rubare il posto agli artigiani locali lavorando a metà prezzo contribuì a far bocciare dagli elettori il progetto di Costituzione europea, mandando in crisi tutta l’Unione. Che effetto farà, sul tradizionale europeismo degli italiani, la paura di un ben più presente e pericoloso «zingaro romeno»? Sul Giornale ce lo siamo domandato tante volte, suonando l’allarme per l’indiscriminata apertura delle frontiere a circa 800mila rom, che da secoli aspettano di migrare verso l’Eldorado occidentale e non fanno mistero di prediligere l’Italia rispetto a tutti gli altri Paesi e Milano rispetto a tutte le altre città. Per questo, ci siamo presi anche dei razzisti. Ma questa settimana, per la prima volta, anche un esponente della maggioranza, il presidente diessino della Provincia Filippo Penati, si è deciso a puntare il dito contro il governo per non avere chiesto, prima dell’ingresso di Romania e Bulgaria nella Ue, una moratoria per il loro libero ingresso nel nostro Paese: una pratica prevista dai trattati di nuova adesione e cui altri Paesi hanno fatto ricorso negli ultimi anni senza che nessuno gridasse allo scandalo (e chi non lo ha fatto, come la Gran Bretagna, se ne è amaramente pentito).
Si è trattato di una svolta storica, nel senso che la presa di posizione di Penati, dovuta un po’ alla disfatta dell’Unione a Rho, Garbagnate, San Donato, ecc. e un po’ a una emergenza di fronte alla quale nessun amministratore poteva chiudere gli occhi, va contro tutto quello che il centrosinistra aveva sostenuto fino a ieri. Ma, invece di fare aprire gli occhi al governo, lo ha indotto a mandare a Milano il viceministro degli Interni Marco Minniti perché bacchettasse pubblicamente il presidente della Provincia: niente moratoria, al massimo misure concordate con i governi di Bucarest e Sofia per rallentare i flussi. Un modo neppure troppo elegante per eludere ogni responsabilità, scaricando l’onere di un eventuale rallentamento dei flussi sui Paesi d’origine.
Ma cosa possono fare questi ultimi? Negare i passaporti agli zingari, attirandosi così i fulmini del Consiglio d’Europa per violazione dei diritti umani? E poi, perché dovrebbero, per farci un piacere, rinunciare alla possibilità di liberarsi di una parte della popolazione che non contribuisce certo allo sviluppo economico e costituisce da sempre una palla al piede? Siamo noi, come sembra riconoscere perfino un prete di sinistra come don Gino Rigoldi, che dobbiamo difenderci con gli strumenti che abbiamo, e, vista la rapidità con cui la migrazione procede, senza perdere un minuto. La procedura per una moratoria «a posteriori» sarebbe nuova per Bruxelles, e non abbiamo la certezza che vanga accettata. Ma non tentarla sarebbe davvero scherzare con il fuoco.

Già, nel Nord, l’Europa è in seria perdita di popolarità, e la politica buonista dell’immigrazione proposta dalla coppia Amato-Ferrero non riscuote certo consensi. Siamo, come sembra pensare lo stesso Penati, in una situazione-limite, in cui potrebbe bastare un grosso incidente per appiccare un incendio.

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