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Penati fa un anno e si congratula da solo

Vanta rapporti strategici, dimostra i suoi «successi» e conclude: «Meglio far scomparire la Provincia»

 Penati fa un anno e si congratula da solo

Gianandrea Zagato

Declama il suo compitino, quello che non scontenta nessuno. Con tanto di pensierini e di buoni sentimenti. Lo fa strizzando l’occhio a don Mazzi e abbracciando Clem Cantoni. Ma il meglio di sé lo dà quando si commuove davanti a Kofi Annan. Flash di una stretta di mano, un sorriso strappato e Kofi che se ne va. «Entusiasmante» commenta. Incontro di tre secondi e non uno di più che al rallentatore diventano dieci e non mutano la sostanza. Eppure, lui, fa sapere che quel fotogramma «è uno dei tre momenti fondamentali del primo anno di governo». Gli altri? «L’aver ospitato i bambini di Beslan offrendogli pure un incontro con i giocatori dell’Inter e il pomeriggio trascorso a San Vittore».
Sorrisini nel salone degli affreschi di Palazzo Isimbardi. Pietas di chi assiste alla sintesi di trecentosessantacinque giorni, «di progetti e di risposte». Ma lui, Filippo Penati, non ci bada. E la festa, quella per il «primo anno di governo», continua nel filmato di sei-minuti-sei che racconta le tappe. Anniversario passato in sordina e senza nemmeno i supporter della sua maggioranza. Assenti insieme ai girotondini d’essai, ai no global da Feltrinelli e ai leoncavallini e al loro ciarpame ideologico. Cancellate d’ufficio le vittime dell’illusione storica della sinistra che credono di cambiare il mondo attraverso la conquista di un’Istituzione. Miraggio che pure l’inquilino di Palazzo Isimbardi non ha saputo schivare: lo provano i settanta minuti di relazione che seguono il filmato dove tenta di dimostrare che, grazie a lui, è «accresciuto» il ruolo «della Provincia su moltissimi temi». Peccato che, aggiunge dopo, «è meglio far scomparire la Provincia»: «Nel 2009 bisogna dar vita alla città metropolitana che è il rinnovamento delle Istituzioni».
Contraddizioni del presidente Penati che, attenzione, non vuole però un «superpotere» ma, con la città metropolitana, reclama «un centro decisionale che si occupi di pochissimi temi fondamentali». Temi che sono quelli centrali anche per la Provincia di oggi: infrastrutture, trasporti e, soprattutto, sicurezza. Scenari che l’ex funzionario dell’ex Stalingrado d’Italia traduce in uno slogan: «L’economia è il primo problema di Milano». Leit motiv che gli consente di spendere, ogni due minuti, il «rapporto stretto con la Camera di Commercio» - per «la creazione di un polo di eccellenza», per «la nascita della Fondazione per l’innovazione» e per «il marketing territoriale» - e, perché no, gridare ai quattro venti, che la sua Provincia si affida nientepopodimenoche al territorial review dell’Ocse per «una serie di raccomandazioni strategiche». Dimostrazioni che, il suo, è «un mandato faticoso» e con la cassa sempre pronta a sborsare quattrini, «tranne che incamerare gli utili della Sea: infatti, saranno utilizzati per finanziare la cultura milanese». Già, «rendere attraente Milano sul piano culturale vuol dire renderla competitiva» e, quindi, butta là il presidente, «siamo molto attenti al rapporto con il mondo imprenditoriale, tanto da essere promotori con Confindustria del premio imprese e cultura».
Ubriacatura di parole, di cifre e di «una luna di miele finita, quella con Palazzo Marino». Conferma di una verità acclarata, «dall’innamoramento siamo passati al matrimonio d’interesse».

Confessione pubblica con l’annuncio che sulla BreBeMi, la Provincia, «chiede a Serravalle di non tirare fuori un euro in più rispetto a quello già previsto» e che per la Tem «il progetto è fatto con i piedi». Chiuse davvero niente male per chi si autoproclama presidente «dello sviluppo, in grado di garantire benessere a tutti i cittadini».

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