Milano I pubblici ministeri di Monza lo avevano preannunciato ai difensori di Filippo Penati, al termine dell’interrogatorio fiume reso domenica scorsa dall’ex sindaco di Sesto San Giovanni ed ex presidente della Provincia di Milano: «Se anche Vimercati si farà interrogare potremo rinunciare alla richiesta di arresto». E ieri Giordano Vimercati, braccio destro di Penati ai tempi sia di Sesto che di Milano, accusato di avere raccolto per conto del capo tangenti per decine di milioni, si è sottoposto all’interrogatorio dei pm Walter Mapelli e Franca Macchia. Interrogatorio meno lungo di quello di Penati, in una manciata di ore il verbale si chiude. Ma basta ugualmente a segnare una svolta nell’inchiesta. Niente più carcere per Penati e Vimercati: un cambiamento di scenario, le imputazioni restano le stesse, l’indagine sul sistema Sesto va avanti, ma - per così dire - si sdrammatizza.
La decisione della Procura di fare retromarcia sulle manette a Penati non è ancora ufficialmente presa, ma i segnali ci sono tutti. La richiesta di custodia cautelare in carcere per concussione e corruzione che dal 24 giugno scorso pende sulla testa dell’ex capo della segreteria politica di Pier Luigi Bersani è, formalmente, ancora in piedi, in attesa della decisione del tribunale del Riesame di Milano, cui i pm hanno presentato ricorso dopo che - in luglio - il giudice preliminare di Monza aveva respinto l’istanza. L’udienza cruciale davanti al tribunale di Milano è fissata per il 21 ottobre, venerdì prossimo. Ma in vista di quell’udienza è partito un intenso lavorìo legale e diplomatico, il cui piatto forte è stata la presentazione di Penati davanti ai pm. E il cui frutto sarà, salvo ripensamenti, la revoca del ricorso. La Procura rinuncia agli arresti, l’inchiesta sulle tangenti rosse proseguirà con i suoi imputati principali a piede libero (due pesci piccoli, l’ex assessore Pasqualino Di Leva e un funzionario, sono invece finiti in cella).
Perché i pubblici ministeri hanno deciso di imboccare questa strada? Non si tratta, spiegano fonti vicine agli inquirenti, di un ripensamento sulla gravità delle accuse da rivolgere a Penati. Le otto ore e mezzo di interrogatorio di domenica scorsa, al cui termine l’esponente del Pd ha diffuso un comunicato dai toni ottimistici, in realtà non hanno affatto convinto i pm. Le accuse nei suoi confronti restano le stesse cristallizzate nella richiesta di custodia del 24 giugno: concussione per le vicende Falck e Ercole Marelli, corruzione per gli appalti Atm, finanziamento illecito per l’affare Serravalle. È con queste imputazioni che la Procura intende portare a processo Penati.
Ma Mapelli e la Macchia vogliono evitare il rischio che il tribunale del Riesame depotenzi l’inchiesta, derubricando (come fece già il giudice preliminare in luglio) le accuse di concussione in corruzione e aprendo così la strada al proscioglimento di Penati per prescrizione almeno dalla vicenda Falck.
Meglio quindi revocare la richiesta di custodia in carcere, limitandosi a dare atto che gli interrogatori di Penati e Vimercati hanno fatto venire meno non gli indizi di colpevolezza ma le esigenze cautelari.Solo tattica processuale, insomma. Ma intanto il Pd può tirare un sospiro di sollievo.
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