Penati va in corso Buenos Aires ed è accolto da fischi e proteste

Reazione gelida dei negozianti: «L’Unione candida estremisti come Caruso». E tra i passanti c’è chi contesta l’esponente diessino

Gianandrea Zagato

«Coccolare i centri sociali, premiare il Leoncavallo e inserire nelle liste elettorali gli esponenti dell’ala dura dell’estremismo rosso è incompatibile con il dovere istituzionale della solidarietà». Filippo Penati sa di non poter ritoccare la fotografia del centrosinistra che Paola Frassinetti ben sintetizza nel suo virgolettato.
Parole, quelle dettate dal candidato di An alla Camera, che il presidente della Provincia non può però sopportare: «La mia è solidarietà istituzionale, continuo a considerare la distruzione della sede di Alleanza nazionale un attacco alla democrazia...» replica stizzito, «ci aspettavamo qualcosa di più, un atto di coraggio perché la condanna non può e non dev’essere solo a parole ma nei fatti» continua Frassinetti. E l’inquilino di via Vivaio toglie il disturbo, «non c’è alcun motivo perché rimanga qui» ma, avverte, «non bisogna fare di tutta un’erba un fascio, alcuni appartenenti ai centri sociali erano alla manifestazione pacifica dell’Anpi». Giustificazione pro-Leoncavallo che appare quantomeno evitabile al civico 8 di Buenos Aires, dove l’ufficio elettorale di An è solo un buco nero.
Uscita di scena tra fischi e commenti irriferibili dei passanti, mentre Carlo Fidanza a nome dei giovani di An gli urla dietro che «la solidarietà pelosa non basta», che «quelli di sabato sono i cugini del Leonka» e che «i distinguo tra buoni leoncavallini e cattivi autonomi è alibi davvero indegno». Valutazioni che Penati non ascolta, lui sta già dall’altra parte del corso per un secondo «doveroso gesto di solidarietà istituzionale ai commercianti». «Tutti, a cominciare dall’Unione, hanno condannato con fermezza quanto è avvenuto. Nulla hanno a che vedere le forze che aderiscono all’Unione con queste forme di violenza»: leit motiv che il presidente diessino ripete davanti a ogni vetrina infranta, a ogni negozio colpito. E ogni volta, ringraziamenti a parte, Penati si sorbisce il refrain della complicità del «centrosinistra con le frange più estreme», della connivenza dell’«Unione che candida estremisti come Caruso» e del favoreggiamento della «coalizione di Romano Prodi che porta in Parlamento l’Italia dei Caruso».
Coro di rabbia dei commercianti meneghini che si preparano a una fiaccolata nel nome della legalità violata, «anticipo dell’accoglienza che il centrosinistra potrebbe ricevere dai cittadini indisponibili a sopportare altri sabati di guerriglia nel cuore di Milano» osserva un negoziante. E mentre il presidente della Provincia annuncia ufficialmente la «presenza con il gonfalone di Palazzo Isimbardi» al corteo di giovedì che, aggiunge, «dev’essere apolitico» perché «è un momento in cui Milano si raccoglie attorno ai simboli della città», c’è chi reclama a Penati di «ripulire la Provincia». È Bruno Dapei, capogruppo provinciale di Forza Italia: «Basta offrire sostegni economici a no global e associazioni che promettono la “gestione creativa dei conflitti”. Basta mandare a spese dei milanesi delegazioni di autonomi ai forum sociali. Basta indossare l’eskimo per raccogliere consensi».
Speranze che Dapei accompagna con le pezze giustificative - determine e delibere - prova, secondo il capogruppo azzurro, che «i milanesi raccolgono la tempesta di violenza seminata anche da Penati».

Tutti tranne uno, un commerciante di Buenos Aires che sostiene «Penati non è stato fischiato, è ora di finirla con cose false». Strano, «davvero strano» commenta Frassinetti perché, «ieri, in Buenos Aires, non ho sentito nemmeno un applauso».

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