Perché una Fiat fatta in Sicilia ci costa di più

Il caso dello stabilimento siciliano della Fiat a Termini Imerese dà il senso di come la politica talvolta perda la bussola. La cosa è grave e anche seria. Ci sono 1.400 dipendenti che lavorano bene. La Fiat ha intenzione di non destinarlo più all’auto. Alcuni ministri del governo si oppongono. In Sicilia non ci sono acciaierie, non ci sono aziende fornitrici, non ci sono collegamenti di buon livello: costruire una Lancia Y in Sicilia costa alla Fiat mille euro in più che nel resto d’Italia. Banalmente per questo motivo Sergio Marchionne ha in mente di mollare la produzione di automobili in Sicilia.

Il manager si fa due conti: e a meno che Babbo Natale non abbia intenzione di beneficiare Fiat di questo differenziale di mille euro, Termini Imerese è destinata a perdere la sua produzione di auto. Pierluigi Bonora spiega bene, all’interno, le molte ragioni dell’inefficienza di questo sito produttivo.
Ma il tema dal quale siamo partiti è la politica e la sua presunzione di governare le imprese. Il vizietto, sia chiaro, non riguarda solo l’attuale esecutivo. Ieri il sindaco di Napoli si è lamentato del trasferimento di venti dipendenti di Alitalia a Roma.

La Fiat ha goduto di generosi incentivi alla rottamazione. Alla fine il saldo per le casse pubbliche sarà positivo; così come buona parte della forte ripresa del Pil italiano nell’ultimo trimestre è dovuto proprio alla ripresa dell’industria automobilistica. Il governo, tra i tanti comparti industriali del nostro Paese, ha scelto di dare una mano alla Fiat. Ora, forse proprio in virtù di questa scelta di campo, non sopporta l’idea che un manager segua una logica non politica: le auto siciliane costano troppo e, dunque, si realizzino altrove. Un governo che faccia le scelte industriali al posto della Fiat, si candida a gestirne i suoi inevitabili buchi di bilancio per i prossimi secoli.
Ma al blocco sociale che ha contribuito all’elezione di questo esecutivo e che fino a oggi non ha beccato un euro di sconto fiscale, questa scenetta non piace. Ha digerito a mala pena gli incentivi riservati alla sola auto: nonostante alla fine siano stati a impatto zero sul deficit. E adesso deve accettare il principio che il governo abbia un’attenzione particolare verso i dipendenti made in Fiat. Ma come? In giro per l’Italia si chiudono botteghe artigiane, piccole imprese, studi professionali e anche medie imprese senza che nessuno del governo alzi un dito, e quando la Fiat si muove si scatena questo putiferio.

Si ha l’impressione che davvero in Italia ci sia una classe di invisibili: ai quali si può fare di tutto.

È un invito, questo, al governo. Si occupi meno di Fiat: è sufficientemente grande da badare a se stessa. E si preoccupi piuttosto delle decine di Termini Imerese che ogni settimana si chiudono senza che nessuno se ne accorga in tutto il Paese.

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