
Una racchetta di ping pong con un buco in mezzo. La copertina del libro di Rocco Papaleo, 66 anni, è surreale. Nel suo ultimo “Perdere tempo mi viene facile” (Mondadori) l'attore lucano risulta convincente come scrittore almeno quanto (se non di più…) lo è come attore. Il paradosso della racchetta forata, per analogia visionaria, ci fa venire in mente il «monologo sul caffè» di Eduardo in «Questi fantasmi» quando, all’inizio del secondo atto, Pasquale Lojacono sul balcone di casa si prepara la «tazzina» con la tipica «cuccumella» spiegandone i segreti aromatici al dirimpettaio, il professor Santanna. Bene, immaginate ora se quella caffettiera fosse stata priva del fondamentale «coppitello»; che cosa sarebbe diventata? Un oggetto inservibile, esattamente come una racchetta con il buco a centro. Eccolo il filo invisibile che potrebbe legare Eduardo a Papaleo: il sogno visionario che va trascende la realtà e la sublima in una dimensione «altra».
Fatto sta che sfogliando «il flusso di frammenti» (definizione dell’autore) del Papaleo scrittore scopriamo con piacere un Rocco poetico, a tratti divertente pur zigzagando in tornanti drammatici; diverso dalle maschere indossate in tv o a cinema. Ma se ai suoi ruoli brillanti sul grande e piccolo schermo siamo abituati, non così per il Papaleo falsamente «perditempo»: aggettivo provocatorio che l’attore (ma pure, secondo Wikipedia, «regista, sceneggiatore e musicista») usa per dire invece che il «tempo» non va «perso», cioè forse non va sprecato in attività imposte dal sentire comune più che dalle nostre personali esigenze interiori.
Pensieri, ricordi, versi, racconti, aneddoti. Tutto questo - e tanto altro - si nasconde tra le pieghe di “Perdere tempo mi viene facile” dove si ride e si riflette saltellando tra malinconia e soprassalti ironici a volte irresistibili. C’è umorismo, ma anche riflessione. Fine romanticismo e sarcasmo di grana grossa. A volte a distanza di poche frasi l’uno dall’altro per far risaltare entrambi in una sorta di par condicio degli stati d’animo. Sullo sfondo il suo rapporto con la Basilicata, terra natia, che Rocco rielabora con nostalgia, rimpianti, amore e delusione. Una frase fotografa al meglio l’anima della regione, e della ragione: «È una terra, la nostra, che ti sorveglia con le sue morali e le sue arretratezze, che è stanca dei soliti giochi ma non sa cambiare le regole, che ti suggerisce l’insoddisfazione».
Per concludere poi con un auspicio che forse è solo un lascito ipocrita alla mozione degli affetti: «La mia è la storia di uno che voleva andarsene e se n’è andato, ma che ora vuole tornare». E invece, come tutti noi lucani che ce ne siamo andati, non tornerà più.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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