Pessotto migliora, ma è ancora in coma I medici: «Nella prima notte in ospedale ha rischiato di morire. Ora il decorso è stabile». La mamma: questo passo in avanti ci fa sperare

Il neo dirigente bianconero è ricoverato in rianimazione. La visita lampo di Moggi: «Una preghiera per Gianluca»

nostro inviato a Torino
Pressione massima 50, piastrine crollate a 25mila quando un adulto dovrebbe averne dodici volte tante, 280-300mila. La vita di Gianluca Pessotto è appesa ai bisturi. In 24 ore ha svuotato 30 sacche di sangue da 450 centilitri per non contare quelle di plasma con emorragie che si replicavano tutta la notte. «Sì, è in pericolo di vita - ammette ancora il professor Antonio Solini, direttore dell'Ortopedia delle Molinette - abbiamo rinviato la terza operazione perché il torace è stato interessato a un nuovo versamento ematico poco dopo le 13».
L'ottimismo del ricovero, «quando è venuto qui e l'abbiamo preso appena in tempo, era ai limiti», lascia spazio al dubbio, alla prudenza. Basta vederlo per rendersene conto. Alle 13.20 quando lascia il pronto soccorso in lettiga per il reparto Rianimazione, uno dei sei letti al quarto piano, la macchina, l’Argyle gli drena il sangue che ancora esce nel torace. A fianco alla testa un grappolo di sacche della trasfusione, quattro cinque tra plasma e sangue, ai piedi il monitor che vigila sul cuore. Gianluca è immobile, intubato, gli occhi chiusi, il camice verde sul corpo nudo, le labbra a mezzo sorriso. Pare che dorma sereno. Invece è in coma farmacologico. Il volto è inverosimilmente integro, nemmeno un segno lasciato dall'impatto, se non fosse una modesta cicatrice sulla guancia. Sotto, meglio non guardare con il tallone esploso sui sampietrini della sede della Juve, dopo 15 metri di volo. Ha lasciato la stanza bunker del pronto soccorso dove la moglie Reana Stocchi ancora piange e dove ha passato sedato la prima notte. Una stanza di silenzio, due letti, un quadro, una barca con le vele gonfie di vento che taglia il mare blu. Vai Gianluca che stavolta ce la fai. Glielo dicono gli occhi gonfi di Reana, quelli del fratello scioccato, del papà. Anche Luciano Moggi cerca di vederlo in mattinata. «Prego per lui, una preghiera per Gianluca», ci dice infilandosi in auto dopo una visita lampo. Ma che dice Moggi che lo scandalo abbia influito? Big Luciano si ferma un attimo: «Questo non glielo so dire». E pare sincero. Anche la suocera è arrivata a trovare l'ex terzino tricolore. Con le premure tipiche della mamma, quando incontra la figlia che vive lontana. A Reana ha portato la posta accumulata nella casella della casa d'infanzia di via Panoramica, persino il dépliant dell'Esatri su come dove quando pagare l'odiosa Ici. Perché la vita deride il dolore, talvolta. Come oggi, come la maschera di Gianluca, i capelli corti ancora perfetti, gli occhiali da miope tenuti nel salto. E la vita che spinge, cerca qualche normalità.
Quando Gianluca è arrivato aveva il retroperitoneo invaso di sangue, l'addome duro come un tamburo. Ora è più morbido, il chirurgo ha cicatrizzato, un problema in meno nella lista dei pericoli. L’ultimo bollettino parla di «decorso nella norma per un paziente con tali traumi». Il direttore sanitario delle Molinette, Ottavio Davini, dice: «Possiamo parlare di stabilità e lieve miglioramento». Rina, la mamma di Gianluca, ascolta: «Questa notizia ci fa sperare». Ma le incognite schiacciano l'ottimismo, lo stiramento indefinibile degli organi, le possibili lesioni nervose, le complicanze polmonari, il 15% di possibilità di perdere l'uso della gamba. E ancora la palude delle infezioni sempre in agguato in questi casi di rianimazione. «Siamo nelle mani dei medici - confida Reana appena scende dall'auto, una polo rosa come le scarpe da ginnastica, jeans e borsetta alla moda - dipende tutto da loro». «Il bacino era tagliato come con una lama - racconta Solini - solo dal torace ha perso più di un litro di sangue; certo per ora escludiamo lesioni dirette al midollo ma sulle sue capacità potremo dire quando gli anestesisti lo risvegliano, la prognosi vera potremo farla tra un mese».

E allora Reana sogna, sa benissimo che questa disgrazia potrebbe unirli di nuovo per tutta la vita. «Se tutto va bene - dicono i medici - a ottobre tornerà a camminare». Quattro mesi per inforcare le stampelle, stringere i piccoli, tornare. Se tutto andrà bene.
gianluigi.nuzzi
@ilgiornale.it

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