Il petrolio «brucia» le Borse europee

Il dipartimento di Giustizi Usa chiede a Ubs i nomi dei clienti possibili evasori

da Milano

La combustione dei mutui subprime tra le fiamme del caro greggio sprigiona un’altra nube tossica sui cieli delle Borse europee, piombate ieri ai minimi dall’ottobre 2005. Già impensieriti dalla stretta al costo del denaro che la Bce dovrebbe mettere a segno domani e dalle conseguenze del caro-petrolio, gli investitori del Vecchio Continente si sono arresi davanti ai prezzi raggiunti dalle materie prime e al perdurare della crisi immobiliare negli Stati Uniti.
A maggio le spese per le costruzioni d’Oltreoceano sono infatti calate (meno 0,4% a 1.085 miliardi di dollari) per la quinta volta in sei mesi. Abbastanza, seppure la frenata sia stata inferiore alle previsioni degli analisti (il residenziale ha ceduto l’1,6% e il 26,9% su base annua) per mandare in avvitamento i principali listini azionari lungo una spirale contro cui poco ha potuto la buona salute dimostrata dal comparto manifatturiero Usa.
A giugno l’indice Ism è salito da 49,6 a 50,2 punti, superando le previsioni ma il clima è rimasto pessimo: il Vecchio Continente ha così accusato perdite comprese tra l’1,6% di Francoforte e il 2,6% di Londra (meno 1,9% l’S&P Mib a Milano) per un ammanco in termini di capitalizzazione pari a 148 miliardi calcolato sul paniere del Dj Stoxx 600 (meno 2,2%), mentre l’oro, il bene rifugio per eccellenza, è salito fino a 942 dollari l’oncia.
Per le Borse europee una débâcle (con una perdita del 22,3% da inizio anno il primo semestre è il peggiore dal 1987) amplificata dal negativo avvio di New York e dalla prospettiva, rilanciata dal sito Internet della Abc, che entro fine anno Israele possa attaccare le installazioni nucleari iraniane.
Quando le contrattazioni in Europa erano ormai terminate, New York ha però invertito la rotta: il Dow Jones ha chiuso con un guadagno dello 0,28% e il Nasdaq dello 0,52 per cento.
A favorire il cambio di direzione sono stati sia i risultati di Gm sia la diversa interpretazione di quegli stessi dati macroeconomici che poco prima avevano mandato in tilt i mercati. Un atteggiamento ai limiti della schizofrenia per investitori che fino a quel momento avevano osservato con preoccupazione anche una corsa dei prezzi giunta ai livelli più alti dalla stagflazione di fine anni ’70.
Maggiore responsabile l’energia e quindi il petrolio, riaffacciatosi a New York oltre i 143 dollari al barile mentre l’Aie tagliava del 3% l’anno le proprie previsioni sulla domanda mondiale nel triennio 2009-2012 a causa della debolezza dell’economia e sottolineava come la speculazione rischiasse di diventare «un capro espiatorio» per giustificare i rincari del brent.
Così come spaventava il fosco quadro tracciato dal Fondo Monetario, secondo cui il balzo del carburante e dei generi alimentari potrebbe tradursi in una fiammata inflazionistica nei Paesi in via di sviluppo sufficiente a innescare uno choc finanziario generalizzato. A guidare il ribasso dei listini sono stati i bancari, appesantiti dal caso Ubs (meno 5,2%).

Con una decisione senza precedenti il dipartimento di Giustizia Usa ha chiesto alla banca svizzera, che ha anche ritoccato il cda sulla scia delle ingenti perdite provocate dai subprime, di svelare i nomi dei cittadini americani titolari dei conti segreti che nasconderebbero evasioni fiscali miliardarie. Se Washington riuscirà a raggiungere i suoi obiettivi sarà un duro colpo per Ubs che si troverebbe in imbarazzo anche verso la propria clientela e rappresenterebbe un precedente per il segreto bancario svizzero.

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