Phone center in piazza

«Una norma discriminatoria e irragionevole, addirittura razziale, per chiudere definitivamente i phone center gestiti da immigrati». Il comitato promotore della «rivolta» definisce così la legge regionale n. 6 del 2006 sulla disciplina dei centri di telefonia in sede fissa. E annuncia per sabato una manifestazione sotto il Pirellone, a cui seguirà una «marcia pacifica» diretta a Palazzo Marino. I rappresentanti di circa 10mila stranieri titolari dei 3mila phone center lombardi (che generano un fatturato complessivo da 3 miliardi di euro all’anno) si rifiutano di adeguarsi alle disposizioni varate un anno fa dalla Giunta regionale. «In realtà - afferma il portavoce Otto Bitjoka - la legge prevede un vero percorso a ostacoli: obbligo di avere due bagni interni ogni 60 metri quadri oltre a una sala d’aspetto, il divieto di svolgere attività parallele a quella telefonica, la mancata erogazione dei contributi dalla Camera di Commercio». Il risultato, secondo il comitato, è che entro fine mese migliaia di cittadini stranieri saranno costretti a chiudere il proprio esercizio, finendo sul lastrico.

È pronta una lettera da sottoporre al sindaco Letizia Moratti, con l’invito a non adottare misure sanzionatorie, almeno fino a quando la Corte Costituzionale non si sarà espressa sulla legittimità della legge, come peraltro richiesto dal Tar di Brescia. L’Unione del Commercio, invece, ha sospeso la protesta «in attesa del buon esito del dialogo già avviato con la Regione per l’applicazione della normativa».

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