Il più giovane dei settantenni McCartney (ri)nasce ancora

Il sosia del defunto compie settanta anni. La presunta morte del sir risale al nove di novembre del Sessantasei. Se ne scrisse e se ne parla ancora nei pub, nei circoli d’arte e la leggenda metropolitana quella resta viva. In verità James Paul McCartney non è ancora morto, per fortuna sua dei famigliari tutti e del popolo immenso che ascolta la sua musica e riempie stadi e teatri per i concerti.
Al baronetto, con il tempo e le cure dall'estetista, è venuta una faccia da Stan Laurel. O di certe zie made in United Kingdom, quelle che ti presentano la torta più colorata di un luna park ma che ha il sapore lungo del gesso. James Paul McCartney, sir e comandante dell’Ordine dell’Impero britannico, in carne e ossa compie dunque settant’anni e sono una fetta grande di vita inglese e anche nostra, come quella torta piena di colori e di crema gessosa. Di colpo ti accorgi di essere vecchio, o diversamente giovane. I Beatles e Macca, vinili e jukebox, mangiadischi e camporella, please please me e love me do, ma anche erba fumata e droga pesante, viaggi nella chimica e nella fantasia fasulla, musica bella, esplosione di una generazione tra pop art e moda, nel Paese più conservatore di qualunque altro, la Regina e i suoi gioielli da far tintinnare come provocò John Lennon, dopo un’esibizione. I favolosi anni Sessanta e a seguire in un calendario che non ha mesi da sfogliare.
Sir Paul è il cantante più ricco del mondo, secondo le liste di Forbes. Il suo forziere sarebbe gonfio di seicentosessanta milioni di dollari, da quarant’anni suona il basso Fender e altre chitarre, con la mano sinistra, nell’epoca d’oro stando a fianco di tre compagni, John, Ringo e George, e poi tre mogli, Linda, Heather e Nancy e una band di figlie e figli. La McCartney United è il simbolo di un’epoca che se ne è andata ma non è finita affatto e mai avrà conclusione, come Liverpool che conserva ancora i mattoni rossi affumicati dal carbone delle ciminiere e insieme il respiro di una città che cerca di rinascere, perché l’arte, la storia e la genialità non possono avere una scadenza. Perché settant’anni di McCartney sono mille canzoni e mille tour, da quel giorno lontano in cui in una stanzetta privata del Walton Hospital di Liverpool Mary McCartney, infermiera del reparto maternità, diede vita al pupo James Paul, forse intuendo che qualcosa sarebbe cambiata nella esistenza sua e del marito Jim, trombettista e jazzista a tempo perso. Mother Mary sarebbe morta giovane, per un cancro al seno, Paul le avrebbe dedicato alcune parole di Let it be «When I find my self in times of trouble, mother Mary comes to me», altri giorni feroci avrebbe vissuto più in là negli anni, quando lo stesso male toccò Linda Eastman, prima moglie.
La casa dei McCartney, al civico 20 in Forthlin Road a Liverpool, ha due camini sul tetto, un solo piano, tre finestre ed è sotto tutela del National Trust, come edificio storico. Paul è la bandiera a mezz’asta della più famosa band musicale di sempre, Lennon e Harrison se ne sono andati con un epilogo feroce e malinconico, resta in fondo alla fotografia Starkey detto Starr, il batterista più modesto e fortunato del mondo. McCartney ha resistito a se stesso, al logorio di un’arte musicale che approfitta della tecnologia e degli effetti colossali rispetto ai tempi in cui Paul con Johnny and the Moondogs, o con i Quarrymen e poi i Beatles, suonavano e basta, quattro amplificatori, quattro uscite audio, cantine fumose e teatri, Amburgo e il Giants Stadium, i 180mila di Tokyo, i 73 milioni di telespettatori per l’esibizione all’Ed Sullivan show nel Sessantaquattro, dovunque nostalgia e divertimento goliardico. Paul era il bello, John il più intrigante, George il solitario, Ringo il clown. McCartney non è mai piaciuto ai critici raffinati di musica e al popolo dei ribelli, la sua musica è facile, ordinaria, non scortica,non graffia, non provoca. A differenza di Lennon non si è schierato a sinistra, non ha partecipato a cortei contro il governo americano, non ha sposato una militante milionaria e, secondo moda, rivoluzionaria, ha fatto dell’ecologia la propria battaglia, dopo aver pagato dazio, in verità, con dieci giorni di carcere, in Giappone, per essere stato trovato in possesso di marjiuana ad un controllo all’aeroporto di Narita a Tokyo. La droga è stata, ed è ancora, compagna di molti, troppi; alibi per la creatività, carta di identità di una generazione fantastica e maledetta. Macca è entrato e uscito da quella porta buia, i suoi concerti sono uguali e diversi dovunque, tre ore di canzoni senza frenesie e deliri, ballerini e provocazioni, tre ore di musica cantata, suonata, rivissuta, un giorno davanti al Colosseo per il popolo romano, un altro a Buckingham per la regina e alla casa Bianca con Obama, ogni volta ritorna alla mente e al cuore la Londra swinging, Mary Quant, Portobello e la Mini Cooper, i bus a due piani, le rosse cabine del telefono, gli abiti colorati come le torte di certe zie, i favolosi anni sessanta, The long and winding road. Macca è l’Inghilterra, moderna e antica al tempo stesso.
Nella casa di Forthlin road aveva scritto «When I’m sixty four», pensando a un tempo lontanissimo.

Era l’inizio di un'epoca. I sessantaquattro sono già distanti, ormai passati. Adesso sono settanta, James Paul McCartney continua a cantare, la stessa voce, la stessa voglia. E sembra che tutto possa di nuovo ricominciare. Sempre.

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