Laura Cesaretti
da Roma
Il gran giorno è arrivato, a un mese più una settimana dalle elezioni del 10 aprile, e Romano Prodi ha finalmente ottenuto lincarico di formare il nuovo governo.
A dieci anni dal primo, il che non depone a favore del ricambio di classe dirigente, ma tantè: il governo Prodi del 1996 giurò proprio il 17 giugno, e lui ci ha tenuto a ricordarlo. «Esattamente dieci anni - ha sospirato - era lo stesso giorno, il 16 maggio, solo che allora era venerdì, oggi invece è martedì». Notazione scaramantica, visto come quel primo governo andò a finire.
Lincarico è stato accettato «con riserva», come vuole la prassi: «Ma la scioglierò al più presto», ha assicurato lui uscendo dal colloquio con il presidente Napolitano, «penso domattina, stanotte scioglieremo gli ultimi nodi e non avremo ritardi di alcun tipo». Intorno a mezzogiorno, prevedono nel suo quartier generale di Santi Apostoli, il neo-premier dovrebbe consegnare la famosa lista dei ministri, a suo dire «pronta» da settimane. Anche se ieri sera dai piani alti dei principali partiti dellUnione si ottenevano risposte di questo tenore: «Su 24 o 25 ministeri, le caselle assegnate con un buon margine di sicurezza sono sei o sette. Tutto il resto ballerà fino a mezzogiorno».
Le poche certezze di ieri riguardano DAlema (Esteri e vicepremier), Rutelli (Cultura e vicepremier), Padoa Schioppa (Economia), Amato (Viminale), Parisi (Difesa), Bersani (Attività produttive). Per il resto, inutile far nomi: dove va Rosy Bindi, per dire? «È in predicato per tre dicasteri». A notte alta per lei rimangono solo le Politiche per la famiglia, ma lei è furibonda e le rifiuta e Prodi la deve pregare in ginocchio di entrare comunque nel governo. Ci sarà Giovanna Melandri, che ieri sera sembrava ritornata in pista in quota veltroniana dopo lesclusione di Goffredo Bettini. Pare che le venga data la delega allo sport tolta al ministero di Rutelli.
La Salute resta contesa tra Livia Turco (ds) e Beppe Fioroni (Margherita), e i medesimi partiti (che in linea teorica sarebbero un partito solo, lUlivo) litigano anche su Istruzione e Comunicazioni, e un po anche sul Welfare da scorporare in Lavoro e Affari sociali.
Mentre il Professore saliva al Colle, la sua coalizione sembrava un campo di battaglia. Spettacolo abbastanza consueto alla vigilia di un gran giro di poltrone come quello del governo, ma complicato dal fatto che la nuova maggioranza, pur risicata in voti, è ricchissima di partiti: più di dieci, nessuno ha il conto esatto, e tutti da accontentare in qualche modo. Quale, a ieri notte ancora non era chiaro. E infatti è proseguito tutto il giorno, fino alle ore piccole, il tourbillon degli incontri, dei vertici, dei colloqui e delle riunioni di partito. «Io sono in silenzio stampa e ancora sul piede di guerra», faceva sapere Clemente Mastella (in predicato per la rognosissima Giustizia) da un conclave dellUfficio politico Udeur riunito «in permanenza», dal quale partivano minacce di «appoggio esterno» al governo.
Anche la Rosa nel pugno si riuniva a più riprese, tenendo in sospeso la propria decisione di partecipare o meno al futuro esecutivo accettando le Politiche comunitarie (e commercio estero) per Emma Bonino. Sulle barricate pure il Pdci, che si è sentito offrire (pare) la Funzione pubblica mentre puntava sul ministero dellUniversità e ricerca per Alberto Asor Rosa. Invece se lo sono accaparrato i Ds, che presumibilmente lo affideranno a Fabio Mussi. Forse. Riunioni fiume anche al Botteghino, per decidere i nomi della delegazione. Allo stato, salvo Mussi, tutti dalemiani: Turco, Violante, Bersani, Visco, Pollastrini, forse Minniti. Piero Fassino si batte per inserire almeno Cesare Damiano al Lavoro, visto che con lingresso della Melandri salterebbe la «sua» Vittoria Franco.
Ma Prodi è certo che allultimo istante, come accade ogni volta in questi casi (e lui, dal quarto governo Andreotti del lontano 78 in cui debuttò come ministro dellIndustria in quota De Mita), tutto si risolverà come per magia.
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