Più scorte negli Usa, il greggio frena

da Milano

L’invito rivolto, martedì scorso, da George W. Bush all’Arabia Saudita affinché l’Opec aumenti la produzione per contrastare la fiammata dei prezzi, è caduto nel vuoto. La visita del presidente Usa, dunque, non c’entra nulla con il forte calo subìto ieri dalle quotazioni del petrolio, scese sotto gli 89 dollari il barile grazie all’inattesa crescita delle scorte americane, salite di 4,3 milioni di unità nella settimana terminata l’11 gennaio. Le stime convergevano su un calo di 300mila barili. Per l’America è un buon risultato, ma per il presidente venezuelano, Hugo Chavez, è solo un fuoco di paglia: «Agli Usa - ha detto - restano pochissime riserve».
I timori recessivi sembrano comunque aver indebolito la tendenza rialzista del greggio, schizzato a 100 dollari all’inizio dell’anno. L’Opec, preoccupata dal prevedibile calo della domanda che sarebbe causato dalla recessione, si mantiene infatti prudente sull’ipotesi di rivedere al rialzo i livelli produttivi. «Non esiteremo ad aumentare la produzione se il mercato giustificherà questo incremento», ha spiegato ieri il segretario generale dell’organizzazione, Abdallah Salem al-Badri. I signori del petrolio sono convinti di aver fatto tutto il possibile per garantire le necessarie forniture energetiche. Al-Badri ha infatti ricordato che dal 2002 l’Opec ha alzato l’output cinque volte.

Il prossimo primo febbraio la situzione del mercato sarà al centro dei colloqui del vertice Opec, ma un delegato dell’organizzazione ha già fatto sapere che difficilmente verrà presa in considerazione l’ipotesi di un aumento produttivo.

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